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Donne, maledette donne

| 18 Gennaio 2022 | ATTUALITÀ

Parlare di violenza di genere o più in generale di questione femminile, lontano dai giorni che precedono o seguono il 25 novembre, può apparire spesso anacronistico. Eppure le narrazioni quotidiane non sono mai avare di fatti cruenti. Nell’anno appena trascorso, 116 sono state le donne uccise, 68 dal partner o dall’ex; numeri in tendenza con quelli degli anni scorsi, elemento tutt’altro che consolatorio.

Gli interventi normativi, che trovano nel Codice di diritto di famiglia del 1975 e nel Codice Rosso del 2019 due pietre davvero miliari, solo in parte hanno contribuito a ridurre un gap ideologico sedimentato nei secoli. Anzi, la concezione post-moderna della civiltà, che ha svuotato di senso concetti quali la vergogna o la punizione enfatizzando nel contempo fino all’estremo il concetto di possesso, di cose o di persone poco cambia, ha sicuramente azzoppato questo percorso.

Nel frattempo, un po’ dappertutto nella Penisola, le nostre città sono state addobbate con targhe e panchine rosse. Tutto utile e bello, per carità, ma questi simboli, se scevri di un senso compiuto e concreto e privi di anima, rischiano di restare ferraglia o addobbi urbani nelle mani di bulletti di quartiere. Sbagliato pensare che la questione femminile si possa ridurre soltanto a uno scontro di genere.

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La psicologa Chiara Arria ha più volte sottolineato come la cultura patriarcale occidentale abbia soffocato le potenzialità del genere femminile, rendendo spesso le donne nemiche di sé stesse. Analogo concetto espresso, in maniera più chiara, da Franca Rame in un’intervista al Corriere dell’Umbria: la peggiore nemica di una donna, in certe situazioni, è proprio la donna. Recentemente, ha suscitato clamore lo sfogo di una dottoressa, rammaricata di fronte alle frasi di una paziente che, sentendosi in diritto di scegliere a chi elargire il diritto alla maternità, ha chiosato: se voleva fare un figlio non doveva scegliere di fare il medico ma il dipendente statale! Che dire, un florilegio di idiozia. Tutto questo avviene mentre ci avviciniamo, a grandi passi, verso l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica.

Sono maturi i tempi per eleggere un Presidente donna, si ripete come un mantra da giorni e con un pizzico di orgoglio avanguardista. Parole quasi commoventi, se non fosse che tale considerazione sesquipedale, risuoni puntualmente ormai da decenni in analoghe situazioni. Camilla Cederna, Eleonora Moro, Nilde Iotti, Tina Anselmi, anche all’epoca i tempi erano maturi per avere una donna al Quirinale. Non se ne fece mai niente.

Nel 1978 addirittura, durante il primo dei sedici scrutini che avrebbero portato all’elezione di Sandro Pertini, si registrarono due preferenze per Ines Boffardi, partigiana di fede democristiana e prima donna nominata Sottosegretario alla Presidenza della Repubblica. I due voti per la Boffardi scatenarono risate e mugugni in aula. Toccò a Pertini, ancora Presidente della Camera, ammonire i colleghi: Non c’è nulla da ridere, anche una donna può essere eletta! Drappeggi di profondo Medioevo, tracce di sospiri atavici in quelle risate, con buona pace dell’articolo 51 della nostra Costituzione.

Tornando ai giorni nostri, è difficile comprendere come andrà questa volta, impossibile fare pronostici. Se poi dovesse accadere di eleggere una donna, non è assurdo pensare che saranno probabilmente le stesse donne le prime a storcere il naso. Nessun dramma però. Se dovesse succedere, nella foto che doverosamente albergherà in tutti i templi sacri della nostra democrazia, dagli uffici pubblici alle scuole, basterà aggiungere una postilla. Eletta sì, ma per gentile concessione degli uomini. E buonanotte, pure stavolta, alla parità di genere.

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