
La vicenda della Costa Concordia, a dieci anni di distanza, rappresenta ancora un coacervo di intrighi ed emozioni, di storie tragiche e altre, fortunatamente, con un finale meno triste.
Quello del naufragio di fronte all’Isola del Giglio contro il gruppo di scogli delle Scole assurge a paradigma del nostro Paese: l’approccio spesso blando al rispetto delle regole, la confusione nella gestione delle situazioni di emergenza, l’altruismo del nostro popolo, la capacità mostrata nelle operazioni di recupero del relitto della nave di saper portare a compimento lavori che richiedono un’abilità e preparazione fuori dal comune.
In questo caleidoscopio di sentimenti, tra commozione e comprensibile turbamento nel rivedere le immagini di quella infausta notte, si staglia la storia di Giuseppe Girolamo, ragazzo di trent’anni originario di Alberobello. Giovane, alto, con barba, baffi e capelli lunghi; tra i membri dell’equipaggio non passa certo inosservato con quello sguardo che, anche a detta degli amici, è da finto duro. È uno dei musicisti che hanno il compito di allietare le traversate dei passeggeri, seduto sulla sua batteria e con le sue bacchette che tiene sempre in mano.
Quando a bordo salta la corrente, lui non perde la calma, anzi cerca di tranquillizzare e aiutare gli astanti. Operazione però che diviene quasi impossibile quando dal piano di galleggiamento della nave si sentono, sempre più forti, stridori meccanici accompagnati dalle comprensibili urla dei passeggeri. Il resto della cronaca è un’affannosa e disordinata ricerca di una via di salvezza, che si dovrebbe concretizzare con la possibilità di salire su una scialuppa di salvataggio e raggiungere la riva, distante pochi metri a colpo d’occhio, in un tratto lungo quanto la linea che separa la vita o la morte. Sono gli stessi metri che percorre una giovane donna con i suoi due gemelli: dalla loro cabina, ormai sottosopra, fino al cancelletto che porta alle scialuppe. È una corsa contro il tempo mentre la nave continua a inclinarsi pericolosamente.
Non c’è posto per tutti su quella scialuppa e allora Giuseppe, senza pensarci un attimo e consapevole di non saper nuotare, cede il posto a quella mamma che tiene stretti i suoi figli, non senza prima averli aiutati a salire. Giuseppe fa poi un passo indietro; il cancelletto che si chiude, col suo rumore stridulo di ruggine e salsedine, è un triste presagio. La nave è ormai adagiata sul fianco, come gigante inerme, piegata dagli scogli e ancor prima dall’azzardo umano.
Quella è per Giuseppe la sua tomba: il suo corpo sarà ritrovato soltanto il 7 aprile, il suo nome aggiunto alla tragica lista di chi, quella notte, ha perso la vita. Francesca Giannone nel suo romanzo appena pubblicato, parafrasando un verso di Francesco Guccini, ricorda che gli eroi sono tutti giovani e belli, perché alla prova dei fatti non hanno tradito gli ideali per i quali sono vissuti e non si sono fatti sedurre dall’egoismo.
Oggi, a dieci anni di distanza da quel 13 gennaio, molti aspetti non sono stati ancora del tutto metabolizzati. L’attenzione continua a concentrarsi, troppo spesso, su aspetti marginali, ascrivibili piuttosto al gossip che alla nuda cronaca.
Per questo, nel bailamme delle celebrazioni, tra eroi presunti e di cartone, preferiamo ricordare ancora Giuseppe Girolamo, che eroe lo fu per davvero.