Covid-19 e lavoro giovanile, la situazione nel mondo.
Secondo l’Organizzazione mondiale del lavoro sono 135 i milioni di posti di lavoro a tempo pieno persi a causa dell’emergenza sanitaria.
Ovviamente la situazione è grave per l’intera categoria, tuttavia sono i giovani a pagare lo scotto maggiore.
Ai margini del mondo del lavoro, con contratti praticamente inesistenti e stipendi da fame, i ragazzi devono recuperare terreno in una situazione di partenza che li vede in netto svantaggio.
L’emergenza sanitaria si inserisce pertanto nel solco di una situazione di per sé già allo stremo.
Stando al suddetto report si calcola che dall’inizio della pandemia più di un giovane su sei ha perso il lavoro mentre chi lo ha mantenuto vede un calo delle ore pari al 23%.
In modo particolare è tra i giovani con meno di 25 anni che si registrano i dati più allarmanti.
Niente di più facile in quanto il 77% di essi lavora senza alcuna regolarizzazione mentre il 40% fa parte dei settori maggiormente esposti.
Se questa è la situazione a livello globale cosa accade in Italia?
E’ tristemente noto che nella penisola il tasso di disoccupazione giovanile sia piuttosto elevato.
Il lavoro ed i giovani appaiono come due realtà separate, dove purtroppo i tentativi di una fruttuosa collaborazione scarseggiano.
Stage e tirocini mal retribuiti o totalmente gratuiti sono all’ordine del giorno ma non garantiscono alcuna possibilità futura.
La parola d’ordine è fare esperienza, cosa che diventa alquanto difficile se non si è disposti ad investire in nuove e fresche risorse.
Dall’altro lato, le competenze richieste sono numerose e complesse.
Ci sono corsi di studi praticamente su ogni cosa e per trovare lavoro, un giorno o l’altro, è fondamentale aver completato un lungo iter di studi.
I giovani oggi trascorrono sui libri molto più tempo rispetto ai loro genitori e nonni ma non ottengono la ricompensa in termini occupazionali che sarebbe loro dovuta.
La falla del sistema è il permanere dell’abisso tra competenze teoriche e pratica sul campo.
Manca in altre parole il necessario trait d’union tra la teoria e la pratica, lacuna che a lungo andare diviene insofferenza e nei casi più estremi sfocia in ansia e depressione.
Cosa resta?
Un curriculum dai più affascinanti e complessi studi, adornato da una ben nutrita lista di praticantati, lavori stagionali, a chiamata e chi più ne ha più ne metta.
Poche garanzie, nessuna sicurezza economica e mancanza di progettualità.
Quale futuro?