Il tam-tam politico e mediatico contro i no-vax e i free-vax è iniziato più di un anno fa, quando l’ex ministro della Salute Beatrice Lorenzin, per rispondere ad un aumento dei casi di morbillo, ha imposto con un decreto legge dodici vaccini obbligatori. Il numero è passato a dieci in sede di conversione del DL nella L. 119. Da maggio 2017 fino all’ultima imponente manifestazione del 23 settembre a Bologna, no-vax e free-vax sono scesi nelle piazze di tutta Italia per dimostrare pacificamente la loro opposizione all’obbligo vacinale. Su di loro si è detto e scritto di tutto e di più: che sono oscurantisti, anti-scientifici, apprendisti stregoni, irresponsabili casse di risonanza di fake news, incoscienti sterminatori di soggetti immunodepressi.
Tra medici radiati per aver espresso posizioni di prudenza sui vaccini e dibattiti negati con la scusa che «la scienza non è democratica», dogma caro all’infettivologo Roberto Burioni, si è chiusa la porta ad un sano confronto. Le ovvie conseguenze sono state la moltiplicazione dei dubbi in chi già ne aveva, l’insorgere di perplessità anche tra quelli che fino a ieri vaccinavano i figli senza farsi domande, un palpabile disagio collettivo e un clima di sfiducia (o di terrore) generalizzato intorno a questo tema.
Sui vaccini si è scatenata una specie di guerra santa che ha ben poco di scientifico e molto di politico. La presunta appartenenza al campo no-vax/free-vax è stata brandita come serio motivo di attacco a vari esponenti del Governo Conte, nonostante le rassicurazioni quasi quotidiane (e al limite del grottesco) in proposito.
La vulgata politica e giornalistica narra che il 4 marzo ha segnato uno spartiacque storico per l’Italia: fino a li’ eravamo di centro-sinistra, europeisti, «liberal» e ortodossi dal punto di vista dei vaccini. Clamorosa l’amnesia selettiva di TV e giornaloni su episodi come la «stecca» di 600 milioni di lire nel 1991 all’allora ministro della Sanità De Lorenzo per far passare la legge sull’obbligo per il vaccino dell’epatite B e le dimissioni di Sergio Pecorelli dalla presidenza dell’AIFA, l’Agenzia del Farmaco, causa conflitto d’interesse al massimo livello.
Ma tant’è che dal 5 marzo gli italiani sono diventati populisti, sovranisti, euroscettici e retrogradi no-vax. Impressionanti le inesattezze riportate anche dalla stampa internazionale su questo fronte. Una vera e propria barzelletta, considerato che i primi bambini non in regola con le vaccinazioni richieste sono rimasti fuori dagli asili all’inizio di questo anno scolastico, quindi nell’era del ministro della Salute Giulia Grillo, M5S. Con buona pace del diritto all’istruzione, che la Costituzione riconosce a tutti.
Del cortocircuito scientifico, politico e sociale che si è creato dopo la legge sull’obbligo vaccinale si sono occupati «Il Pedante» e Pier Paolo Dal Monte nel libro fresco di stampa, «Immunità di legge – I vaccini obbligatori tra scienza al governo e governo della scienza».
Partendo da dati di realtà (uno per tutti: la categoria dei medici si vaccina pochissimo, chissà perché?), il Pedante, pseudonimo di un musicista, s’interroga con buon senso e spirito critico sul tema dei vaccini, ascoltando le voci di medici e ricercatori «fuori dal coro». Ad esempio, quelle dei 153 pediatri, neonatologi, infettivologi, chirurghi, endocrinologi e medici generali che nell’ottobre 2015 hanno scritto al presidente dell’Istituto Superiore di Sanità per dirgli che, nella loro esperienza clinica, i bambini non vaccinati sono più sani dei vaccinati, e che gli effetti indesiderati dei vaccini pediatrici comprendono alterazioni importanti a carico del sistema immunitario. O le voci di medici e ricercatori che hanno denunciato i conflitti d’interesse, l’inadeguatezza delle segnalazioni degli effetti avversi, l’inesistenza di anamnesi individuali che le possano evitare o limitare, i danni neuromuscolari causati dalla persistenza nel corpo umano dell’alluminio, adiuvante contenuto in molti vaccini.
Pier Paolo Dal Monte, coautore del libro, è un chirurgo impegnato nelle tematiche relative alla bioetica, alla sostenibilità e all’epistemologia. È membro del Consiglio Direttivo della Fondazione Chirurgo e Cittadino. Il suo contributo verte su un’analisi epistemologica intorno al tema dei vaccini, a partire da una domanda: cosa accade quando la scienza diventa ideologia e viene “canonizzata” in guisa di articolo di fede?
Pier Paolo, l’obbligo vaccinale ha un fondamento scientifico o politico?
Configurato come quello che è emerso dal decreto Lorenzin, l’obbligo ha scarso fondamento scientifico. Si è trattato di un’operazione precipitosa connessa a una presunta “epidemia” di morbillo e ad una “insufficiente” copertura vaccinale che non aveva raggiunto il 95% della popolazione dei neonati. Fermo restando che la copertura per raggiungere il cosiddetto «effetto gregge» è del tutto teorica e comunque legata alla diversa diffusività dell’agente infettivo che, nel caso del morbillo, la stima matematica porta a considerare una variabilità del 83-94%, l’utilizzo dell’affermazione «siamo in pericolo perché non siamo al 95%» è stata del tutto strumentale ed è servita a mascherare il «traino» per ogni vaccino proposto (fino a 10 in obbligo) a quella percentuale, anche se non scientificamente giustificata. Siamo infatti il primo e unico Paese, seguiti quest’anno dalla Francia, a imporre universalmente un calendario vaccinale pediatrico così fitto. Il metodo scientifico si è piegato agli obiettivi politici. E oggi, l’invito a «votare la scienza» è un attacco opportunistico con cui i decisori politici usurpano l’autorevolezza faticosamente maturata nei secoli dal discorso scientifico, per farla propria e ammantarsi della sua luce riflessa.
Burioni ha convinto molti che la scienza non sia democratica. Almeno del metodo scientifico ci possiamo fidare?
Nell’opera di divulgazione, gli “esperti” sono stati i primi a non seguire il metodo scientifico. La frase in oggetto (“La scienza.non è dempcratica”) è una corbelleria: come scrivo nel libro, questa sonora scempiaggine è minata da una doppia fallacia: una logica, perché compara due “concetti incommensurabili”, visto che la scienza è attinente al dominio cognitivo e la democrazia a quello politico. La seconda è una fallacia epistemologica: il metodo sperimentale fa sì che la scienza sia, da questo punto di vista, pienamente democratica. Essa ricusa il “principium auctoritatis”, perché prevede che debba basarsi sulle prove sperimentali. L’esperimento può essere considerato alla stregua di un “bene comune”, al quale, per statuto teorico tutti possono attingere e concorrere, se non dal punto di vista pratico, sicuramente da quello “veritativo”. Perché prevede che sia possibile mettere in dubbio la “verità” di una specifica asserzione “scientifica”.
Come si esce dalla visione manicheistica vaccini buoni/vaccini cattivi?
Superando la cattiva informazione data dagli “esperti” e dai media, che ha tolto al dibattito qualsiasi dignità scientifica e all’informazione qualsiasi tipo di credibilità. Ciò che identifica la scienza è il metodo; l’apodissi, viceversa, ne è l’opposto perché nega ogni possibilità di dubbio che inevitabilmente deve sorgere, per il fatto stesso che ogni verità scientifica è sempre temporanea e falsificabile. Negando il dubbio, si nega la perfettibilità su cui la scienza si fonda e, quindi, la necessità di qualsivoglia indagine o ricerca.
Nell’era delle post-ideologie, a quale “Weltanschauung” appartiene l’obbligo vaccinale?
Alla Weltanschauung tecnocratica, che prevede che la sfera politica debba necessariamente seguire un “vincolo esterno”, si chiami questo “euro”, “i mercati”, “scienza” o “teoria economica”.
In realtà, quando lo scopo è quello di convogliare ciò che è frutto di conoscenza scientifica nell’ambito delle scelte politiche, è necessario un accurato lavoro di negoziazione semantica per giungere ad un significato che sia condiviso da tutte le parti interessate, ovvero a un “perché”, che è la condizione necessaria per arrivare ad un “come”: l’applicazione nel mondo reale di quella scienza che scaturisce dagli “esperti”.
Un tema scomodo: vaccini e reazioni avverse.
I vaccini sono farmaci, anche se di tipo particolare,dal momento che non hanno la funzione di curare una patologia in atto, ma quella di prevenirne la possibile insorgenza e diffusione, tramite la stimolazione del sistema immunitario, in modo che possa reagire in caso di contatto con microorganismi patogeni specifici. Come tutti i farmaci, i vaccini possono avere effetti indesiderati, lievi o gravi, precoci o tardivi. Negare questa banale verità non fa altro che ostacolare quell’informazione corretta che sarebbe così importante per instaurare un clima di fiducia nella popolazione. Attestare con precisione i livelli di rischio, non è facile, perché richiede un sistema di sorveglianza e di monitoraggio delle reazioni avverse molto preciso e accurato, che segua una semantica condivisa.
Un tema dibattuto: l’immunità di gregge.
È un principio che non può essere automaticamente esteso a tutte le vaccinazioni disponibili, ma necessita di una dimostrazione sul piano della plausibilità biologica e delle evidenze per ogni singolo agente infettante e relativo vaccino. Se un vaccino conferisce una protezione individuale da una specifica malattia, ma non impedisce la diffusione dell’agente infettante, la mancata vaccinazione del soggetto ricade come rischio solo sullo stesso e non sulla comunità, con conseguenti ricadute sui livelli di copertura ritenuti necessari.