
Ogni crisi economica degna di questo nome produce sempre delle conseguenze sul sistema politico, oltre che su quello economico e sulla società, ovviamente. È decisamente il caso della recentissima Grande Recessione cominciata nel 2008, che oltre a consegnarci un quadro economico caratterizzato da precarietà e crescita fragile, ha prodotto numerose conseguenze pure sulla politica dei paesi colpiti da questa terribile crisi. In particolare, in Europa, la Grande Recessione ha decretato il crollo elettorale dei partiti tradizionali novecenteschi mentre ha visto l’ascesa di nuove formazioni politiche eterogenee genericamente definite populiste o anti-sistema.
Ma la crisi non ha colpito unicamente le fondamenta dei sistemi partitici delle democrazie europee. Essa ha anche aggravato sintomi che ribollivano nella pancia delle più longeve democrazie continentali già da qualche decennio. Sintomi che grazie alla mazzata della crisi del 2008 sono diventati una vera e propria malattia potenzialmente in grado di far crollare su se stessa la non poi così tanto consolidata struttura dei nostri regimi politici.
La malattia di cui stiamo parlando è la spoliticizzazione delle masse che, in primissima istanza, si sta manifestando attraverso la sempre minore partecipazione dei cittadini alle elezioni legislative, per non parlare di quelle a livello regionale o locale per cui si è arrivati a un punto in cui si potrebbe facilmente metterne in discussione la legittimità. Questa malattia, che come un cancro sta lentamente erodendo dall’interno i pilastri fondamentali degli stati per come li conosciamo, si palesa pure con la progressiva riduzione dei tesseramenti da parte dei partiti.
Tuttavia, non vi è bisogno di consultare dati o leggere chissà quanti libri per rendersi conto della spoliticizzazione della nostra società. Questo fenomeno è riscontrabile nella vita quotidiana di tutti noi. La politica è un argomento tabù e viene percepita come qualcosa di inevitabilmente corrotto e sporco, di cui non bisogna parlare perché incentiva lo scontro e la faziosità. A causa di queste ragioni e non solo, la stragrande maggioranza delle persone non s’interessa di politica e perciò non si forma un’opinione critica. Ancora peggio, molte persone, pur sapendo poco o nulla di politica, si ergono a professori insindacabili della materia. Essi non si limitano a dire la loro opinione, che è un diritto sacrosanto, ma pretendono di avere ragione su tutto e su tutti e rifiutano di ascoltare chiunque la pensi diversamente da loro mentre non riconoscono le parole di chi è più informato. In altri termini, la chiacchiera da bar fine a se stessa fine elevata ad affermazione empiricamente dimostrata e perciò violentemente difesa. Si tratta di un gravissimo peccato di superbia commesso da numerosissime persone e che aumenta ulteriormente la faziosità e le possibilità di scontro verbale generate dal discutere su temi riguardanti la politica.
Per questi soggetti, ahinoi molto diffusi specialmente al tempo di internet e dei social media, il problema non sta nella loro conoscenza né nella loro cultura politica. Essi semplicemente non hanno educazione al dialogo e al confronto perché non si può avere un dibattito costruttivo se si ha la presunzione di avere sempre ragione e se non si è nemmeno in grado di capire la differenza tra le opinioni personali e i dogmi.
In generale, all’interno della maggioranza delle persone, molti si interessano poco o nulla di politica, altri si credono politologi. Inevitabilmente gli spazi per avere dibattiti produttivi sulla politica si riducono fortemente e proprio questa riduzione degli spazi di dialogo è un’altra conseguenza della spoliticizzazione delle masse.
Le cause di questo fenomeno insito nei regimi democratici furono in parte profetizzate dal filosofo francese Alexis De Tocqueville. Egli comprese, quasi duecento anni fa, che l'”individualismo” e la “tirannide della maggioranza” avrebbero prodotto da un lato un vertiginoso calo della partecipazione politica, dall’altro la perdita dell’indipendenza intellettuale da parte dei cittadini, il tutto condito dal benessere materiale e delle opportunità, che è un elemento fondamentale per la nascita e il consolidamento di un regime democratico. Il calo della partecipazione politica (sinonimo di spoliticizzazione delle masse) si nutre dell’individualismo dei cittadini i quali si ritirano nella loro “piccola società” fatta di parenti e amici.
Mentre internet e i social media hanno potenziato esponenzialmente l’individualismo che ora si sviluppa pure al livello virtuale, la Grande Recessione ha allargato la faglia tra società e classi dirigenti le quali sono sempre più autoreferenziali ed incapaci di cogliere le istanze della collettività, il tutto mentre povertà e disuguaglianze hanno raggiunto livelli inediti.
La crisi economica scoppiata nel 2008 ha quindi gettato benzina sul fuoco, aggravando certe problematiche interne alle democrazie consolidate che iniziarono a palesarsi già al termine dei trenta gloriosi, tra cui la spoliticizzazione delle masse.
Dunque, riflettere troppo lungamente sulle cause e sui motivi per cui la politica al giorno d’oggi è un argomento mal visto e odiato è inutile oltre che fuorviante. È necessario guardare al domani. Dobbiamo trovare dei modi per riavvicinare la politica ai cittadini e viceversa, e per fare ciò dobbiamo innanzitutto porci la più elementare delle domande: che cos’è la politica?