Dopo la scomposta mozione di Renzi e Boschi sulla nomina del prossimo Governatore della Banca d’Italia (“individuare una figura più idonea a garantire nuova fiducia nell’Istituto, tenuto conto anche del mutato contesto e delle nuove competenze attribuite alla Banca d’Italia negli anni più recenti“), un mix letale di scaricabarile e di sottile vendetta, la linea editoriale della stampa italiana è chiara: lo tsunami bancario degli ultimi due anni non è né colpa del governo (cioè di Renzi), né dell’Autorità di Vigilanza (cioè di Visco), ma di un gruppetto di lazzaroni – nominati dalla politica (mostro mitico alquanto sfuggente, noto anche come “casta” o “cricca”, che ingloba tutti gli amministratori meno quelli del proprio partito o, nei casi più raffinati, meno quelli che attualmente guidano il proprio partito) – che non hanno saputo gestire le loro aziende.
Il solito “dagli all’untore!”, contro i Mussari, gli Zonin, i Berneschi, i Bianconi (restano invece sconosciuti i nomi di chi ha gestito Banca Etruria), che tanto piace non solo a chi vuole evitare di aprire certi armadi pieno di scheletri, ma anche – Dio solo sa perché – a molti commentatori telematici (soprattutto toscani) e, addirittura, a giornalisti professionisti (normalmente anche molto intelligenti). Forse perché, come in tutte le bugie pericolose, c’è parecchio di vero. Il problema è che c’è moltissimo di falso.
Si dice: è colpa della politica e di banchieri incapaci corrotti; a causa loro finanziamenti senza adeguate garanzie, fidi a pioggia, operazioni scriteriate si sono trasformate nell’attuale montagna di Npl che affossa la redditività del settore.
Bella tesi, che però non spiega come mai siano fallite in due anni lo stesso numero di banche andate a gambe all’aria nei precedenti trenta (quando il sistema bancario era quasi interamente pubblico), o perché i maggiori crack ante Renzi regnante abbiano avuto, come protagonisti, proprio banche private (il Banco Ambrosiano, certo, ma anche Banca Steinhauslin), oppure – ancora – come mai alcuni territori paiano essere particolarmente soggetti a certi “infortuni” (nel Veneto neo-autonomista, per esempio, prima di Veneto Banca e della Popolare di Vicenza, si ricorda la distruzione sistematica del sistema delle Casse di Risparmio). Né considera che, prima della risoluzione delle 4 banche a fine 2015, i risparmiatori italiani non erano mai stati chiamati a ripianare i danni di manager più o meno creativi.
Il che non significa che le scelte politiche non si ripercuotano sulle banche. Anzi. Il problema è che lo fanno su altri piani. Perché tante persone, nell’ultimo biennio, hanno perso il proprio denaro, o abbiano seriamente rischiato di farlo? Forse perché il destino è, notoriamente, cinico e baro, o forse perché Mussari non parlava correttamente inglese; oppure, più probabilmente, per l’acritica adesione al modello neoliberista e globalizzante dell’Unione Europea, che prima ha imposto la privatizzazione a tappe forzate del sistema finanziario italiano (con la demenziale scelta di creare le fondazioni bancarie), poi – nel bel mezzo di una crisi economica senza precedenti, con lo Stato reso impotente dai vincoli di bilancio – l’introduzione del meccanismo del bail-in.
La volontà cieca di svendita del patrimonio pubblico (nascosta dietro la vulgata della “foresta pietrificata”), attuata non solo attraverso le leggi Amato–Carli del 1990 e Ciampi–Pinza del 1998, ma anche (il lupo perde il pelo, ma non il vizio) con la Direttiva Dini del 1994, scontrandosi con l’ovvia volontà delle fondazioni bancarie di mantenere una qualche forma di controllo locale sui relativi “istituti di riferimento”, ha prodotto una cronica sottocapitalizzazione delle banche, il tentativo di rendere quest’ultime (anche se piccole) “poli aggreganti” tramite acquisizioni in contanti anziché tramite fusioni o altro operazioni “carta contro carta”, infine il ricorso – espressamente benedetto da Banca d’Italia! – a “strumenti ibridi” (cioè a subordinati). Un mix esplosivo. Sembra la storia di Montepaschi, riassunta in tre righe.
“Dunque la Banca d’Italia c’entra, eccome!”. Vero, però qui si tratta della Banca d’Italia di Draghi e della Tarantola, non di quella di Visco. I quali, tra l’altro, hanno invero raggiunto il loro scopo di privatizzazione ed aggregazione: talvolta con le buone, talaltra con le cattive. Ducunt volentem fata, nolentem trahunt.
A trascinare i nolenti, ultimamente, sono stati soprattutto i crediti in sofferenza (noti con l’acronimo inglese di Npl) che, secondo la vulgata, sarebbero tutti il prodotto di finanziamenti concessi agli amici degli amici, o senza garanzie, o comunque in dispregio di qualsiasi diligenza aziendale. Nell’osservazione c’è del vero, per carità, ma ragionare così (ragionare solo così) significa abbandonarsi ad una ricostruzione macchiettistica dell’evoluzione degli impieghi, in Italia, negli ultimi venti anni.
In realtà, non si può prescindere dall’ovvia considerazione che l’introduzione dell’Euro, eliminando il rischio di cambio (e in assenza, fino al 2011, di un serio rischio di ridenominazione), ha creato un’enorme bolla speculativa a favore del capitale del Nord Europa, che ha riversato nella periferia dell’UE ingentissime masse di denaro, a tassi relativamente bassi, per finanziare la spesa a debito non solo delle imprese (soprattutto piccole e medie), ma anche delle famiglie in crescente difficoltà economica. Chi non ricorda l’esplosione della consumer finance, in quegli anni radiosi di inizio millennio? Tutte le banche, tutte, hanno espanso i crediti alla clientela, certo alcune con più avventatezza di altre; ma tutte, tutte, hanno pagato a caro prezzo la violenta crisi iniziata nel settore finanziario nel 2008 e poi trasmessa – a seguito del blocco immediato dei flussi di finanziamento dal Nord al Sud d’Europa – all’economia reale.
Le imprese, soprattutto le piccole, hanno chiuso i battenti non restituendo i mutui. I capannoni in garanzia, in piena deflazione, hanno perso valore. I dipendenti, licenziati, non hanno restituito i prestiti personali. Le imprese rimaste, venendo meno una parte importante della domanda aggregata, hanno chiuso a loro volta, licenziando. E così via, all’infinito. Ecco spiegato l’incremento esponenziale degli Npl. Altro che circolo tennis di Vattelappesca. Sarebbe bastato questo, ma c’è dell’altro: l’Unione Bancaria, che ha spostato a Francoforte la vigilanza sulle banche, dando il destro alla Bce per creare un meccanismo di controllo one size fits all (versione anglosassone del Letto di Procuste), in cui le banche commerciali si sono trovate svantaggiate rispetto alle merchant bank o, comunque, ai grandi conglomerati paneuropei, più esposti – causa derivati – ai rischi di mercato che ai rischi di credito; la Direttiva BRRD, quella del burden sharing e del bail-in, che in assenza di un sistema di muta assicurazione dei rischi su scala europea ha amplificato la rischiosità percepita dai risparmiatori verso gli istituti di credito; infine, specificamente per quanto riguarda l’Italia, un intero anno di immobilità (o fantasmagorici quanti irrealizzabili “progetti di mercato”), in attesa che si tenesse un referendum già perso in partenza.
Se l’Italia si è ridotta in questa camicia di Nesso che è l’attuale sistema di cambi fissi (per di più sopravvalutati per il nostro Paese), è forse colpa di Mussari o piuttosto di Prodi e di chi, prima di lui, ha lastricato la strada verso l’UEM? Se l’Italia ha accettato l’istituzione dell’Unione Bancaria senza richiedere la contestuale creazione dell’EDIS, cioè il meccanismo europeo di mutualizzazione del rischio, è colpa di Zonin o del dinamico duo Letta & Saccomanni? (Per inciso, non è di certo colpa di Schäuble, che semplicemente tira l’acqua al suo mulino). E ancora: l’introduzione del principio del bail-in nel nostro Paese addirittura prima di quando previsto dalla direttiva – così come la ridicola ammuina sui salvataggi di mercato, tramite Atlante (assai gracilino, visto il nome scelto) o fantomatici emissari qatarioti (rivelatisi, con perfetta coerenza, semplici miraggi estivi) – è opera di Renzi oppure di Berneschi?
Altro che “la politica”. Altro che “i banchieri”. Altro che “la massoneria” (sempre utile, quando si vuole buttarla in vacca, indipendentemente dall’argomento trattato). Qui il disastro – solo a voler considerare la dimensione macroeconomica dei problemi – ha due sole sigle, legate in aeternum: l’UE e il PD (& antenati vari). Con che faccia parlino della Banca d’Italia è davvero un mistero.
Poi, certo, la Banca d’Italia ha avuto ed ha colpe gravissime. Sotto Fazio (che gestiva il sistema bancario in un misto di amicalità con questo o quel banchiere, il sullodato Berneschi ma anche Fiorani o Geronzi, e di provincialismo, coi risultati che tutti ricordiamo) e sotto Draghi (non foss’altro che per aver autorizzato la sciagurata operazione di fusione fra Mps e Antonveneta), ma anche sotto Visco. Il quale è, sì, probabilmente il Governatore più inadeguato della storia d’Italia, ma non certo o non tanto per non aver controllato i conti di questo o quell’istituto: che Etruria, o Mps, o le Venete fossero da anni banche comatose, tutti lo sapevano, ma non è certo compito del Regolatore stilare pagelle urbi et orbi, con riflessi sulla fiducia dei risparmiatori che è facile immaginare (il che non toglie una certa propensione a chiudere gli occhi di fronte alle magie contabili di certe banche molto ben introdotte a livello politico).
Il peccato originale e gravissimo di Visco sta nel non aver aiutato il governo ad intervenire quando sarebbe stato opportuno per salvare le banche in crisi (altro che JpMorgan!, altro che Atlante!) e nel non aver mai saputo difendere, a Francoforte, gli interessi del nostro Paese (peccato gravissimo, evidentemente, ma meno grave di quello di chi ha accettato di cedere il controllo di moneta e settore finanziario). Che aspettarsi da uno che critica il meccanismo del bail-in dopo un mese dalla sua entrata in vigore? O che non riesce ad imporsi sulle nuove regole proposte dalla Bce in materia di Npl? O, ancora, che accetta una Unione bancaria dimidiata? O che non si straccia le vesti di fronte alle attuali regole degli stress test? Che sottopone alla vigilanza della Bce Veneto Banca (Veneto Banca!) ma reputa ovvio che non vi siano sottoposte le Sparkassen tedesche?
Vedremo venerdì se Renzi, sebbene non più Presidente del Consiglio, con la sua sortita riuscirà nell’impresa quasi impossibile di sottoporre all’Italia altri sei anni di un Governatore così.