
Siccome le elezioni si avvicinano, la ripresa esiste solo nei tweet di Matteo Renzi e la piattaforma programmatica della Lega (soprattutto dopo l’ampia eco che ha avuto l’idea, di Claudio Borghi, dei minibot) sta guadagnando di giorno in giorno credibilità, ecco che ora impazza sui social una nuova velina: per uscire dall’UE servirebbe addirittura una legge costituzionale e dunque la Lega – anche al governo – nulla potrebbe!
Come sempre capita quando la balla è enorme, per renderla appena credibile si devono muovere i grossi calibri. Nel caso di specie, il renzianissimo Roberto Bin, professore di diritto costituzionale all’Università di Ferrara, che – già noto per il suo peana al progetto di riforma tanto apprezzato dal popolo italiano lo scorso 4 dicembre – si cimenta ora in questo nuovo, disperato tour de force. In soldoni, secondo il prof. Bin, “la riforma costituzionale del 2001… ha introdotto una norma generale nell’art. 117, c. 1, Cost. che suona così: «la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali»; pertanto, “i trattati europei hanno… ottenuto una «copertura» costituzionale e solo con legge costituzionale la si può rimuovere”.
Tralascio il fatto che l’uscita dall’Euro e l’uscita dall’UE potrebbero anche non coincidere, o il fatto che la norma citata dal nostro accademico sia stata introdotta, guarda caso!, da quell’orrenda riforma del 2001, quella che – ultimo frutto avvelenato di quella stagione di europeismo orrendo che sono i governi Prodi, D’Alema e Amato – ha riscritto il Titolo V rendendo fra l’altro ingestibili i rapporti fra lo Stato e gli Enti locali. Qui il punto è un altro, e cioè che l’art. 117, c. 1, Cost., non dà copertura ad alcunché.
La disposizione, infatti, non ha spostato di una virgola il modello tracciato dalla Corte Costituzionale quanto al regime di applicazione del diritto europeo, che continua a fondarsi solo e soltanto sulla possibile “limitazione di sovranità” prevista dall’art. 11. L’art. 117, c. 1, è piuttosto una norma che, sul piano dell’esercizio della funzione legislativa, prende atto di un processo, in corso, di integrazione fra ordinamenti, senza per questo imporre una visione “monistica” degli stessi. In altri termini, è come se si dicesse: “legislatore, attento quando legiferi, perché – ad oggi – hai preso impegni con l’Unione Europea e con la comunità internazionale. Ai sensi dell’art. 11 e dell’art. 10 (pacta sunt servanda) devi rispettarli”. Tutto qui, né più né meno.
In altri termini: nessuna maggioranza qualificata – nessuna, maggioranza, qualificata – è richiesta dalla nostra Costituzione per attivare l’art. 50 del TFUE.
Ma possibile che il renzianissimo Bin, professore di diritto costituzionale di lungo corso, sbagli proprio su una questione del genere? A parte il fatto che, a voler proprio seguire il ragionamento dell’Accademico, prima di uscire dall’UE andrebbero emendati non solo l’art. 117, ma anche gli artt. 97, c. 1, e 119, c. 1 (giusto per amor di logica), è proprio la bozza di riforma pensata da Boschi, amata da Renzi e bocciata dagli elettori a far comprendere come stanno davvero le cose.
Sì, perché in quella proposta il PD – conscio del fatto che l’art. 117, c. 1, non costituzionalizza proprio nulla – aveva davvero messo il boccone avvelenato della subordinazione in perpetuo dell’ordinamento italiano a quello comunitario. Il nuovo art. 55 avrebbe infatti previsto quanto segue: “il Senato della Repubblica rappresenta le istituzioni territoriali ed esercita funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica. Concorre all’esercizio della funzione legislativa nei casi e secondo le modalità stabiliti dalla Costituzione, nonché all’esercizio delle funzioni di raccordo tra lo Stato, gli altri enti costitutivi della Repubblica e l’Unione europea. Partecipa alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi e delle politiche dell’Unione europea. Valuta le politiche pubbliche e l’attività delle pubbliche amministrazioni e verifica l’impatto delle politiche dell’Unione europea sui territori. Concorre ad esprimere pareri sulle nomine di competenza del Governo nei casi previsti dalla legge e a verificare l’attuazione delle leggi dello Stato”.
La nostra Costituzione sarebbe stata, in quel caso sì!, l’unica in tutto il Continente a sancire l’obbligatorietà di attuazione delle politiche europee lato sensu intese, oltre che a prevedere un Organo costituzionale che, in sostanza, avrebbe funto da prefetto del pretorio di Bruxelles a Roma.
Quella proposta l’abbiamo bocciata. Ora finiamo il lavoro.