
Gaza dorme silenziosa e non c’è nessun rumore sospetto nel sonno leggero dei palestinesi tutti. “Sonno”, e non “Sogno”. Peace to Prosperity diventa un sogno per i palestinesi di Gaza e una certezza per lo stato di Israele? A quanto pare, sembra che il piano di pace preconfezionato e presentato alla stampa come il David di Donatello, dal Presidente Donald Trump, sia fattibile. Sembra, ma per capire le nuove dinamiche di pace in Medio Oriente occorre fare un’attenta e precisa analisi, su come Israele dovrà affrontare il nuovo Status dell’attuale situazione politica economica e “Territoriale” e su quest’ultimo punto, c’è da riflettere e osservare il ruolo della politica internazionale, dove a metterci la faccia è di nuovo lo Zio Sam, ossia gli Usa con un Donald Trump che vuole lasciare dietro di se un eredità politica proprio come ha fatto con “Peace To Prosperity”, e con la mediazione sull’avviamento dei rapporti di normalizzazione tra la Stella di Davide e i paesi del golfo.
Dopo Peace To Prosperity, un’altra Oslo che delinea un piano di pace fatto ad immagine e somiglianza dello stato di Israele, Donald Trump mette la garanzia sui rapporti di normalizzazione che Israele ha avviato lo scorso 13 Agosto con gli Emirati Arabi Uniti. Chiaro che la volontà di Tel Haviv, va di pari passo con il fatto che tale processo di Distensione Internazionale, ha anche un valore strategico in chiave economica e geopolitica. La Normalizzazione dei rapporti con i paesi del golfo, prevede l’impegno del governo di Tel Haviv, di sospendere (non rinunciare, ma solo sospendere) l’annessione nei territori della West Bank e di rafforzare i legami con i paesi arabi. La cabina di regia è sempre quell’arbitrato internazionale che parte da Washington e si insinua sull’asse prospettico Tel Haviv – Abu Dhabi, con un conseguenziale allineamento di paesi come Bahrein e Oman allettati dalla sospensione da parte del governo israeliano di non annettere nei territori la West Bank .
Una manovra politica internazionale, fatta dalla Casa Bianca per avere un peso politico sui rapporti di natura economica con i paesi del Golfo Persico e per avere un maggior controllo in una delle zone più calde del pianeta. Non è un mistero che l’analisi geopolitica dia per scontato che la manovra di normalizzazione da parte di Israele, da un lato mira a consolidare il Blocco Anti Iraniano voluto da Washington, dall’altro lato mira a rafforzare i rapporti politici ed economici con i paesi del Golfo, grazie alla sospensione dell’annessione nei territori della West Bank. Tale sospensione prevede lo sdoganamento da parte dei paesi del Golfo nei confronti di Israele e agli stessi permetterà anche di salvare la faccia dalle pesanti accuse da parte dell’autorità palestinese e delle piazze arabe , di aver tradito la causa palestinese.
Dagli Emirati Arabi Uniti, arrivano i primi commenti da parte dell’ambasciatore a Washington, “Shalom, Salam’ – ha detto l’ambasciatore emirato Youseff Al Otaiba con un articolo pubblicato dal quotidiano Yediot Ahronot– continuiamo a sostenere la causa palestinese, ma nel frattempo si aprono le porte per lavorare su nuove dinamiche di pace insieme al governo israeliano. I segnali da parte di Tel Haviv, sono chiari e molto forti, così come lo è la volontà da parte di Israele a sospendere le annessioni nei territori della West Bank. Un gesto che apre la strada verso un futuro di pace per la regione medio orientale. Un punto di incontro è stato già trovato e ne troveremo molti, per la cooperazione in chiave economica e per le ricerche scientifiche per la lotta al corona virus. Ospiteremo Israele per l’Expo Mondiale che si terrà a Dubai, dove saranno protagonisti 100 paesi del mondo, prevista ad Ottobre”.
Tutto ruota attorno alle mediazioni internazionali che hanno come diretto protagonista l’onnipresente Gigante Americano, dal canto suo l’ONU, non ha mai lasciato solo lo stato di Israele, che a sua volta, non ha mai rinunciato o sospeso l’occupazione di importanti strisce territoriali, nel bel mezzo della vasta regione medio orientale. Dal 1946, alla Guerra dei sei giorni, allo Yom Kippur, fino ai giorni nostri, l’ONU ha votato settecento risoluzioni, un centinaio sono state votate dal consiglio di sicurezza, ma tutto è rimasto come prima, la leadership israeliana, continua a influenzare la regione medio orientale e la Palestina come stato nazione, rimane sempre un miraggio.
Nel frattempo il primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu è alle prese con la crisi di maggioranza all’interno del Partito Likud, e nonostante la crisi interna, Israele procede comunque alle operazioni militari contro Hezbollah in Libano e questo la dice lunga sul Blocco anti iraniano di Tel Haviv. A Sud di Gaza, sono stati centrati diversi siti strategici di Hamas, compresi dei tunnel sotterranei, dove le fonti di intelligence israeliane sospettano di depositi di armi. Il Segretario di Stato USA Mike Pompeo, continua nel suo lavoro diplomatico e all’orizzonte si affaccia il Sudan pronto ad intraprendere i dialoghi con Israele. ” Fiducioso nei paesi del Golfo-ha affermato Pompeo-così come positivo sul fatto che altri paesi come il Sudan si aggiungeranno agli Emirati Arabi“. Da Netanyahu i commenti sull’accordo nucleare e sulle decisioni USA al Consiglio di sicurezza dell’ONU. “l’Iran non può avere armi nucleari”, ha spiegato il Primo Ministro israeliano, forte del fallimento dell’accordo con Teheran.
Gaza e la Palestina incompresa e incompiuta, dormono già al tramonto, mentre l’aviazione israeliana continua con i suoi raid alla ricerca del nemico giurato. Hamas, prova a lanciare le lanterne incendiarie nel cuore della notte, ma il Golem vigila e risponde distruggendo con rabbia, i sogni e le speranze del popolo palestinese, ancora messo alle corde e costretto ad assistere ai giochi politici che sottomettono la nazione araba, in nome della decantata ricchezza e del libero commercio internazionale. I Paesi del Golfo, vogliono abbandonare la causa palestinese per creare un asse, che nel Mediterraneo si contrapponga alla Fratellanza Musulmana e alla Turchia? La presa di posizione degli autoritarismi con il loro conseguente rafforzamento, in nome della repressione dell’Islam Politico, allungando il raggio d’azione verso il Mediterraneo Orientale, ha messo fuori gioco la causa palestinese e lanciato un campanello d’allarme ai paesi dell’Unione Europea che a sua volta mantengono, in Libia e Mediterraneo Orientale in primis, molti interessi.