Domenico Iannacone, il giornalista e autore molisano alla ricerca di anime dimenticate, che si riflettono sul suo volto, raccontando storie che si annidano dentro e non escono più.
Nato a Torella del Sannio il 7 aprile nel 1962, ha collaborato con Il Corriere del Molise, Il Quotidiano del Molise e Raitre dal 2001, ricevendo più volte il Premio Alpi “come miglior TV dell’anno”.
Tra i programmi di successo Presa diretta, Il Terzo Mondo, Evasori, Vacanze d’Italia, I dieci comandamenti e Che ci faccio qui, su Rai 3, attualmente in onda con la seconda edizione.
Continua la sua ricerca per dare luce a chi sopravvive in ombra e a stento nella disperazione tra ripari improvvisati, o mura cadenti e ingiallite. Sono italiani ed emigrati abbandonati a se stessi, nascosti nelle periferie o campagne, dove sembra che la giustizia e lo stato non arrivi e si “tira avanti” a stento, grazie alla generosità di pochi, associazioni e volontariato.
Nei suoi ritratti di autore è il caso di dire, ci sono anche personaggi rivoluzionari, controcorrente come l’arte proposta e finanziata dall’imprenditore Antonio Presti, per riqualificare zone degradate in Sicilia con monumenti d’arte, realizzati all’aperto.
Un mecenate che sostiene la “Politica della Bellezza”, crea la Fondazione Fiumara d’Arte e tra le tante meraviglie consegnate al museo a cielo aperto, si ricorda la Finestra sul Mare di Tano Festa.
Flavio Bucci, lo straordinario attore e interprete di Ligabue, che consuma un patrimonio e si ritrova a vivere con poco in un pensionato, dopo tanti successi e altrettanti eccessi. Eppure l’attore, nonostante tutti i soldi spesi tra vodka e cocaina, rivela: “Non mi pento di niente, ho amato, ho riso, ho vissuto”.
O ancora Pierpaolo con la Sindrome di Down, che si prende cura della madre malata di Alzheimer, con una tale dedizione, amore, da insegnare e commuovere. Dimostrando che le differenze sono nella capacità o incapacità di amare e che quella diventa la “cura” migliore per aggirare il male.
Per lui la madre, che lentamente si ritrae “È tutta la sua vita”. Un amore totale che racchiude il vero senso dell’esistenza, e che spesso nella cosiddetta normalità non si coglie o s’ignora. Meglio ancora se non si vede.
Il garbo di Domenico diventa poetico e tutto quello che racconta, si umanizza e rende le vicende anche di un ex condannato, meno colpevole e più nobile, come gli incontri nel quartiere romano di San Basilio.
E ascoltando la loro vita si impara e si coglie una grande saggezza, di chi sceglie di non avere figli, per evitare di consegnarli alla stessa sorte. Persone condannate due volte, per i reati commessi e per essere cresciuti in luoghi degradati o semplicemente trascurati, che compromette e condiziona un sano e fortunato futuro.
“Che ci faccio qui”, inizia nelle campagne di Rosarno a Reggio Calabria, “luogo simbolo dell’immigrazione e dello sfruttamento di chi lavora la terra”. Mostrando le condizioni di totale povertà, dove vivono migliaia di persone, prive di qualsiasi sostegno economico.
L’unico aiuto arriva da Bartolo Mercuri, un negoziante di mobili del posto, che si occupa di loro fornendo gli alimenti primari e che mostra a Iannacone la disperazione, di cui si fa carico da vent’anni “Ogni santo giorno“. Titolo non proprio casuale della prima e seconda parte.
Nella seconda puntata il viaggio continua negli stessi luoghi con Bartolo alla ricerca di un pullman, per distribuire meglio i viveri, insieme alla sua famiglia, l’associazione Il cenacolo e i volontari.
La sua abnegazione è una promessa al Cielo stretta anni prima, in cui assicura che se dovesse risollevarsi dalle sue difficoltà, avrebbe poi restituito l’aiuto, occupandosi dei poveri. Promessa largamente mantenuta e ampliata oltre ogni aspettativa, anche celeste probabilmente.
Un uomo felice di rendersi utile e condividere i suoi averi con gli altri, i poveri quelli che non hanno voce, casa, diritti, ma baracche e una grande distesa di Niente. Nessun presente e un azzerato futuro.
Bartolo occupandosi di loro e mettendosi a disposizione, ricorda che sono persone meritevoli di bene, attenzione e più autentici di qualsiasi benestante. E alcuni di loro sono contenti anche di quel poco, sorridendo grati a Iannacone.
Anche Bartolo è felice del suo nuovo pullman bianco, per continuare ad aiutare e a dare. Certo, se lo Stato arrivasse anche da loro e li sostenesse, e se la ricchezza fosse distribuita meglio e non in mano ai pochi, gonfi e tronfi sarebbe meglio.
Ma anche il singolo, come Bartolo, noi e tutti, possiamo, abbiamo la responsabilità morale dell’altro e la possibilità di mettersi al servizio del bene per aggiungere qualcosa, anche minima.
Iannacone con i suoi programmi cerca una strada per renderli visibili e veicolare il bene e la solidarietà. In fondo come lui stesso dice “Ci siamo presi anche la vita degli altri a quale prezzo e con quali regole”.
E forse si dovrebbe iniziare a fare e a restituire qualcosa, ognuno condividendo in base alle proprie possibilità. Le sue storie sono un’immagine riflessa, che aiutano a pensare, portandoci alla solitudine e alle mancanze con grazia, rispetto, amore.
Un abbraccio caldo e sostenuto verso l’indifeso e un elogio visibile, per chi nuota controcorrente, aggiungendo del nuovo con la propria rivoluzione.
La poesia non è solo un verso, ma occhi che parlano con nobiltà e anima, della miseria e degli Ultimi, facendoli diventare con la loro voce, almeno per poco i Primi. Un Grazie, per i meravigliosi ritratti di Esseri Umani fuori dal coro e dal sistema, o ai margini in un’altra vita, nascosti tra luoghi sperduti.
Grazie per le parole, l’umiltà, la grazia, che incanta, arricchisce e umanizza e che risuona nella mente come e meglio di un poetico verso.