Giulia Biolchini, 49 anni, una laurea in Scienze Infermieristiche e un master in Coordinamento conseguiti mentre già lavorava come infermiera. Nelle sue parole, oltre ad un enorme impegno professionale, una grande carica di umanità.
Giulia ha iniziato la sua carriera lavorando per dodici anni in Chirurgia Toracica. Da 18 anni è nel Dipartimento di Emergenza-Urgenza del Pronto Soccorso dell’Ospedale Policlinico di Modena.
Giulia risponde alle mie domande via WhatsApp, a ore improbabili, negli scampoli di tempo che le rimangono dopo giornate di lavoro massacranti. Le sue risposte sono una testimonianza diretta della condizione attuale di tanti operatori sanitari e medici. Sono loro, certamente non i politici, gli eroi che portano avanti la battaglia quotidiana contro il COVID-19.
1. I numeri dei contagi stanno diminuendo. Nella tua esperienza, c’è stato un effettivo allentamento della pressione in Ospedale?
“Nella mia esperienza diretta in front office del Pronto Soccorso, l’accettazione da cui i pazienti vengono poi distribuiti nei vari reparti di terapia intensiva o sub-intensiva, la diminuzione non è percepibile, e un effettivo allentamento della pressione in ospedale non si è ancora verificato. È tutto in divenire, le disposizioni cambiano di giorno in giorno, e non possiamo abbassare il livello di attenzione. Siamo in piena emergenza. Basti pensare che fino a poco tempo fa i pazienti positivi isolati a domicilio venivano anche trattati a domicilio e non transitavano mai al Pronto Soccorso. Ora la situazione è talmente satura e diffusa sul territorio che l’assistenza a domicilio del Servizio di Igiene Pubblica e di Malattie Infettive è diventata pressoché impossibile. Per questo, nella zona “calda” del Pronto Soccorso non ci sono solo i sospetti Covid-19, ma anche i Covid-19 accertati e prima isolati a casa. Sono pazienti che, in situazione di crisi (e sempre se riescono ad arrivare in tempo), accedono al Pronto Soccorso per essere trasferiti in terapia intensiva o sub-intensiva”.
2. Eravate preparati, professionalmente parlando, ad affrontare questa emergenza?
“Avevamo avuto un’esperienza analoga, che non si può tuttavia paragonare a questa pandemia, con l’Ebola e la SARS. Eravamo già istruiti anche per quanto riguarda i presidi di disposizione di protezione individuale, avevamo fatto corsi di aggiornamento sulla vestizione e sulla svestizione. Questa è stata l’occasione per rispolverare tutta la teoria sulla protezione da parte nostra per limitare i contagi. Certo è che non avremmo mai immaginato che queste simulazioni si sarebbero materializzate in emergenze concrete, e nella realtà è tutto più complicato”.
3. Sei infermiera all’interno di una squadra di infermieri. Quanti siete, e che atmosfera c’è tra di voi ?
“Siamo 45 infermieri, assistiti da 35 Operatori Socio-Sanitari, il cui supporto è preziosissimo. Insieme, e in stretta collaborazione, lavoriamo incessantemente in turni che si declinano nelle 24 ore. Il lavoro è molto pesante, e abbiamo dovuto completamente ripensarlo per quanto riguarda il percorso dei pazienti che arrivano e si rivolgono al Pronto Soccorso. L’atmosfera tra di noi, non posso negarlo, è di timore e di paura.
Questo non ci impedisce di andare avanti, di essere coesi e tirare fuori tutto quello che c’è nel nostro bagaglio di esperienza professionale. La situazione è un po’ surreale, perché la tipologia di chi si reca in Pronto Soccorso è cambiata. Non vediamo più i numeri abituali del Pronto Soccorso legati ad esempio a incidenti e traumatismi tipici di chi sta fuori casa, o fa sport, così il reparto di Ortopedia è meno sollecitato. Lavoriamo tanto, ma diversamente da prima. Abbiamo istituito un pre-triage, ovvero una pre-selezione dei pazienti, ridimensionando tutta la logistica del Pronto Soccorso per evitare che i pazienti Covid19 contagino altri pazienti, che non presentano sintomi respiratori o febbre. Mi riferisco ai classici casi da Pronto Soccorso, che continuano ad arrivare in queste settimane: i pazienti cronici con patologie vascolari, ipertensive o neurologiche, coliche renali/addominali/biliari, piccoli traumi domestici o quelli legati a denunce per violenza domestica, ai problemi di disagio sociale o intossicazione farmacologica. Questi pazienti, che non hanno sintomi respiratori o infiammatori con presenza di febbre, li abbiamo definito “freddi”. Accanto a loro, c’è tutto il capitolo nuovo dei pazienti Covid-19, che abbiamo definito “caldi”. I pazienti “freddi” e “caldi” seguono percorsi completamente diversi e separati, per evitare il contagio e assicurare le cure più adeguate anche in queste difficili circostanze”.
Un infermiere al pre-triage
4. Come valuti le decisioni prese fino a qui dal Governo per affrontare la pandemia legata al Covid-19?
“Nel fare fronte alla pandemia, è un dato di fatto che il governo è arrivato in tempi non adeguati su vari fronti. Innanzitutto, per il personale sanitario, nella fornitura dei dispositivi fondamentali. Le mascherine ancora adesso arrivano a singhiozzo, e siamo talvolta costretti a riutilizzare i dispositivi di protezione individuale. Per quanto riguarda invece i provvedimenti di restrizione per favorire il distanziamento sociale, la chiusura dei ristoranti e dei luoghi di assembramento, le partite di calcio sospese ma non immediatamente, vedi il caso di Atalanta-Valencia, giocata a San Siro il 19 febbraio… Anche su questo fronte denunciamo un ritardo, che non ci ha aiutato a prepararci nel modo più adeguato. Ho qualcosa da dire anche sui tamponi, che finalmente da pochi giorni sono assicurati a tutto il personale sanitario. Per questo c’è voluto però un accordo di Cgil, Cisl e Uil, sia confederali che di Categoria, che hanno siglato un Protocollo con il Ministro della Salute per la prevenzione e la sicurezza dei lavoratori della Sanità in ordine all’emergenza da Covid-19. Tra le disposizioni previste c’è l’esecuzione dei test necessari ad evidenziare l’eventuale positività al SARS-COVID19. Ma per quanto tempo noi operatori siamo GIÀ stati in contatto con pazienti positivi al Covid19? Questo è un dato molto grave perché l’accertamento dello stato di salute del personale ospedaliero avrebbe consentito di isolare immediatamente i tanti contagiati che ci sono purtroppo anche tra di noi.
Per quanto riguarda i numeri del contagio,che vengono annunciati ogni giorno, beh li trovo molto asettici e veramente poco adeguati a riflettere la sofferenza di pazienti in fin di vita, che non possono neanche vedere i propri familiari per un ultimo saluto. Drammi quotidiani ridotti a statistiche. E trovo davvero inutile soffermarsi a discutere se queste persone siano morte “con” o “per” coronavirus, è una distinzione che io come infermiera non condivido assolutamente. Sono donne e uomini vittime di un virus terribile, che li ha strappati alla vita quando avrebbero potuto godersela ancora per anni. Anche prendendo la pastiglia contro la pressione o facendo l’insulina tutti i giorni. Invece di dire in quanti sono morti ogni giorno, se per o con coronavirus, e di quante patologie pregresse questi pazienti avessero, trovo che sarebbe più umano e rispettoso osservare ogni giorno, anche in televisione, un minuto di silenzio per chi ci ha lasciato”.