Francesco Barone, Docente presso il dipartimento di Scienze Umane dell’Università degli Studi dell’Aquila, si appresta a partire per la sua cinquantaduesima missione umanitaria in Africa.
Stavolta la sua meta sarà la Repubblica Democratica del Congo, uno stato africano che è sempre stato scosso da instabilità politica, sociale ed economica.
Al riguardo, è sufficiente pensare che verso la fine del 1800 il Congo era un vero e proprio possesso personale di Re Leopoldo II del Belgio e che, da quegli anni, i periodi di pace e di stabilità politica sono stati veramente rari.
Francesco Barone da oltre 20 anni è impegnato in missioni umanitarie in Ruanda, Burundi, Senegal e Repubblica Democratica del Congo.
Abbiamo rivolto una domanda al Prof. Barone e la sua risposta non è tardata ad arrivare.
“Prof. Barone, qual è il suo stato d’animo relativamente alla sua prossima missione? E, soprattutto, che pensa della situazione in cui vivono milioni di bambini poveri dell’Africa?”
Prof. Barone: ” Mancano pochi giorni alla mia partenza per il Congo. L’ ennesima missione umanitaria. Anche stavolta saranno giorni indimenticabili e ricchi di emozioni. Partecipare a un viaggio umanitario vuol dire essere disposti a vedere ciò che non è facilmente descrivibile. Sono stato numerose volte in Africa e i ricordi sono tanti, ma ciò che non riuscirò mai a dimenticare sono le frasi di alcuni bambini.
Tutte le volte, offrendo loro qualcosa, mi è stato risposto: merci padron! Grazie padrone! Questa è la frase che, forse meglio di altre, rappresenta il senso di un mondo sofferente, in cui milioni di bambini muoiono di fame e di sete, non dispongono di medicine e non hanno accesso all’istruzione. In uno dei miei viaggi sono arrivato all’isola di Gorée, al largo di Dakar, dove sono ancora visibili gli attracchi per le navi che trasportavano gli schiavi.
Risale al 1532 il primo “carico di schiavi” e da allora, l’Africa viene catapultata nel nascente sistema economico mondiale attraverso il mercato degli schiavi. Per molti secoli, milioni di persone, sono state vendute in cambio di fucili e braccialetti. Nel corso dei secoli, sono sparite le catene nei polsi e nelle caviglie delle persone, ma esistono quelle invisibili, ancora più subdole delle prime. La schiavitù di oggi riguarda tutto il pianeta, perché la globalizzazione è anche questo, la brutalizzazione delle condizioni dell’uomo.
Basta essere un po’ realisti per ammettere che oggi, il diritto meno garantito è il diritto alla vita. Porre l’accento su questi aspetti, significa richiamare l’attenzione su una nuova e possibile concretizzazione del discorso sui diritti. Significa assumere responsabilità di fronte alle numerose forme di disuguaglianze e vulnerabilità. Non è sufficiente proclamare la dignità umana, come spesso accade nei documenti ufficiali e nelle dichiarazioni universali. Bisogna avere consapevolezza che in alcune parti del pianeta, gli esseri umani non sono persone e viceversa.
E’ attraverso la cultura della solidarietà e del rispetto reciproco che si costruisce un’umanità sempre più accogliente e in grado di contribuire alla risoluzione dei problemi del disagio e delle nuove povertà. In questo mondo precario assistiamo quotidianamente a un disagio sociale, caratterizzato da incertezze esistenziali. Stiamo diventando testimoni consapevoli, troppe volte muti, di una crescente e dilagante prevaricazione sotto ogni fronte.
Chi vive o convive con la povertà ha a che fare con l’odissea della tenerezza e della precarietà, si è costretti a convivere con le alterazioni dell’essere e con le ingiustizie dell’avere. E’ idea comune che è povero colui che ha sete e fame, ma lo è altrettanto chi si colloca ai confini della certezza assurda e della negazione di chi soffre, non essendo più in grado di riconoscere e ammettere la realtà. Troppo impegnati nell’affermazione dell’io stiamo diventando estranei anche a noi stessi.
Assoggettati ai linguaggi di questa nuova mondializzazione, siamo portatori di un prodotto già preconfezionato, contrassegnato da ingiustizie e prevaricazioni. Qual è il mio dovere di fronte al povero? E’ questa la domanda che ciascuno di noi dovrebbe porsi. L’uomo contemporaneo rischia di diventare preda di un nuovo modello di indifferenza. E’ l’indifferenza che ci riguarda. Soprattutto quando restiamo in silenzio davanti al dramma di bambini che annegano, mentre il cielo si illumina di luna piena oppure quando il sole ha bruciato la loro pelle. Oppure quando non ci indigniamo di fronte alla condizione di numerosi bambini che hanno fame e non hanno la forza per gridare. E non ci scandalizziamo quando adulti senza scrupoli e vigliacchi sfruttano bambini indifesi e costringono le bambine a prostituirsi.
Tutto questo è inqualificabile, intollerabile e ingiusto”.
Leggi anche l’intervista al Prof. Francesco Barone.