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L’egoismo dell’accoglienza

| 3 Luglio 2018 | CULTURA, ESTERI, IL FORMAT, POLITICA

La domanda da porci non è “accoglienza sì” o “accoglienza no”, bensì: assecondare i migranti nella tratta illegale di essere umani per motivi economici, è un vantaggio per i migranti nel medio-lungo termine?

Tralasciando tutti gli aspetti squisitamente legali,
ponendo che assecondando l’operato delle ONG nel mediterraneo si incentiva un traffico di esseri umani;

ponendo che un traffico di esseri umani a prescindere da quale sia l’esito favoreggia le organizzazioni criminali presenti sia nel punto di arrivo che nel punto di partenza;
ponendo che le organizzazioni criminali aumentano un mercato nero che esula totalmente dal controllo delle istituzioni nazionali e internazionali (senza bisogno di spiegare quali conseguenze porti un arricchimento delle organizzazioni criminali);
ponendo inoltre che, dal punto di vista umanitario, in Italia i poveri sono circa 5 milioni e che 1/3 di essi è un migrante nonostante i migranti siano meno di 1/10 della popolazione totale; ergo il migrante medio va a ricoprire nel migliore dei casi la stessa posizione sociale che aveva nel proprio paese di partenza, se non addirittura inferiore con lavori feudali al limite dell’umano;
ponendo che, sempre umanitariamente, qualsiasi genere di traffico di persone vede come routine giornaliera abusi di tutti i generi e un altissimo tasso di morti;

ponendo tutto ciò, siamo davvero convinti che nel medio-lungo termine, si faccia la scelta complessivamente giusta e umanitaria? Incentivarli a scappare è davvero un vantaggio?

Tuttavia è innegabile che salvarli in mare sia un dovere etico nonché legale.
Salvarli in mare con qualsiasi mezzo e forma è senz’altro un vantaggio immediato di breve termine (vantaggio che consiste, per l’appunto, nel prevenirne l’annegamento, nda).

Allora la domanda è: si può sacrificare la vita di alcuni oggi per impedirlo a molti più nel lungo periodo?
E’ lecito usare misure drastiche per porre fine a un fenomeno delittuoso che si auto-alimenta? O detto più economicamente: se vantaggi di breve e lungo termine confliggono, si può far prevalere il lungo termine?

Abbiamo un ottimo precedente, in una situazione che per certi versi può dirsi analoga, almeno nella struttura, al dilemma attuale: la piaga dei sequestri di persona a scopo di estorsione.

L’Italia è stata per anni la patria europea dei rapimenti con richiesta di riscatto, un vero e proprio business sia per organizzazioni criminali e che pastori sardi.

Il macabro giochetto finì negli anni 90, non troppo tempo fa, quando qualcuno dovette fare l’ardua scelta di sacrificare il breve periodo in favore del lungo periodo. In pratica fin dal’ 91, alcuni magistrati iniziarono ad impedire che si pagasse il riscatto (il giudice Ferdinando Pomarici iniziò già in solitario, e con grande coraggio, nel ’76).

Immaginatevi che un vostro parente venga rapito e che i rapitori chiedano un riscatto. La prima cosa che fareste, sarebbe ovviamente pagare. I sensi di colpa sarebbero troppo forti se non si facesse di tutto per avere i nostri cari indietro. Ovviamente, pagato il riscatto, avreste avuto (si spera) il vostro familiare indietro. Tuttavia avreste compiuto un grave precedente. Uno di quei precedenti che come nel caso dei migranti, alimenta un fenomeno perverso, in cui oggi liberano un ostaggio, domani ne prenderanno un altro.
La logica del “lo salvo ora perché devo salvarlo” sarà anche un ragionamento di buon cuore, ma è un ragionamento che senz’altro nuoce alla incolumità di quelli che verrano dopo.
Se salvarne uno, comporta incentivarne altri a rischiare dopo, siamo davvero sicuri che sia una scelta di buon cuore o è solo una scelta infantile?

I magistrati nel 91 dovettero compiere l’ardua scelta rischiando di sacrificare la vita di quelli che in quel frangente erano le vittime, per porre le basi per una totale e graduale estirpazione del fenomeno stesso. Fecero dunque quella che sembra una mossa controproducente: impedirono che i rapitori l’avessero vinta, ergo congelarono tutti i beni della famiglia del sequestrato. Ma come? Anziché aiutare la famiglia della vittima gli si congelano i beni impedendo il pagamento del riscatto e quindi mettendo in serissimo pericolo di vita l’ostaggio? Esattamente. Si fece prevalere il vantaggio del lungo termine, motivo per cui oggi possiamo circolare più sicuri. Cosa che non sarebbe stata possibile altrimenti, in quanto ovunque venga favoreggiato un mercato nero, quel mercato nero finisce per ampliarsi a macchia d’olio.

Nel ’93, il decreto legge del ’91 “Nuove norme in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione” sul congelamento dei beni diventò legge a tutti gli effetti e non fu più a discrezione di qualche coraggioso magistrato o di decreti ministeriali: di lì a poco il fenomeno venne circoscritto. Oggi, sapendo che nessuno pagherà un riscatto, è diventato economicamente folle pensare di rapire qualcuno. Negli 80 l’incentivo invece c’era.


Fabrizio de André col figlio Cristiano in Sardegna, prima del sequestro, avvenuto nel ’79

Ma ecco il nocciolo dell’analisi: quando si decise di congelare i beni delle famiglie, l’indignazione non si fece sentire più di tanto. L’opinione pubblica presto capì che si trattava di una manovra necessaria.

Oggi questo non avviene. Perché tanto a patire le conseguenze del traffico di esseri umani, non siamo noi, ma sono principalmente i migranti stessi. L’importante è #RestareUmani sui social. Alle conseguenze di questa “umanità”, beh, troppo difficile pensarci.

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