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Meno insediamenti, più Israele

| 20 Maggio 2018 | ESTERI

Da quando nel 1996 Israele vide l’ingresso in politica suo attuale premier, Benjamin Netanyahu, il paese cambiò drasticamente indirizzo. Oggi molti la considerano la “start-up nation”, ma negli anni novanta questo piccolo e controverso Stato era poco più che un Paese assistenzialista con i conti in rosso, nonché un’inflazione e un debito pubblico che gareggiavano, come entità, con l’Argentina dei Kirchner.
Diverse volte Israele è stata salvata dal baratro economico e militare dall’Uncle Sam che ha ovviamente sempre visto nell’alleato mediterraneo una testa di ponte per le proprie politiche in medio oriente.

Ma da quando Netanyahu, ex militare nonché alunno di spicco presso il MIT prima e Harvard dopo, fece il suo ingresso nello scenario politico aizzando le masse contro l’allora premier Yitzak Rabin (che fu poi assassinato), Israele ha totalmente cambiato faccia diventando quello che non era mai stato primo: una potenza autonoma. Forte sostenitore della centralità del mercato, egli prende in esempio il triste destino dell’Unione Sovietica: una potenza mondiale che aveva i migliori scienziati, i migliori matematici, i migliori dottori ma che per via della povertà e della assenza di mercato non è riuscita a garantire la propria stabilità. Alla fine questo modello ha dovuto soccombere, accettando una politica di mercato partendo oltretutto dal più basso dei livelli.

Bibi ribalta le sorti di quello che era un paese fortemente statalizzato dove il focus verteva primariamente sull’inclusione sociale della cittadinanza la qualità delle menti prima rispetto al mercato, trasformandolo in un paese dove il mercato è centrale e la qualità delle menti viene spronata dalla riduzione di vincoli. Riduzione del deficit, privatizzazione delle banche, liberalizzazione delle compagnie di Stato, riduzione delle imposte sul reddito e riduzione del controllo sul capitale. Israele è così diventato un polo d’innovazione per il libero mercato molto attraente per chiunque voglia investire e aprire bottega. Questa politica di liberalizzazioni ha favorito un fenomeno molto importante: il fiorire di aziende scientifiche e militari che hanno portato Israele a quel livello di autosufficienza economica e bellica che adesso lo rende una spina nel fianco dei vicini paesi arabi.

Ma anche col vicinato Netanyahu è riuscito a stringere rapporti che erano impensabili negli anni ‘90.

A partire dal permesso che Il Cairo, nel 2018, ha concesso a Tel Aviv per colpire nuclei terroristici nel Sinai, notizia passata del tutto sotto banco ma di enorme spessore per capire l’influenza che la strategia israeliana sta avendo sui Paesi limitrofi.

Ma anche sul fronte della sicurezza interna l’Israele di oggi è molto diverso dall’Israele degli anni novanta dove gli attentati contro civili erano all’ordine del giorno. Uno studio del 2002 del Lauder School Herzliya ha mostrato come le politiche di Netanyahu siano in realtà state molto efficaci per prevenire, reprimere il terrorismo e aumentare la sicurezza nel Paese.

Israele si mostra per molti aspetti come un esempio nonché un banco di prova per politiche innovative.

Nonostante il grande divampare di polemiche sulla questione Palestinese, Israele esiste e bisogna prendere atto del suo diritto ad esistere.

Tuttavia la legittimità di Israele sembra in forte calo. Questo calo è dettato due piccole fratture: il rapporto col diritto internazionale e la politica degli insediamenti.

Gli insediamenti sono un tentativo da parte del governo di Tel Aviv di assorbire tutta la popolazione araba in Cis-Giordania togliendo il presupposto alla base della questione palestinese: assorbirli fino ad eliminarli rendendoli poi una faccenda di politica interna.

Questa politica annulla definitivamente la possibilità di creare due Stati, ed è molto pericolosa per i palestinesi, poiché fin quando questa transizione non sarà completata (se mai sarà completata), essi si ritroveranno nella terra di nessuno, privi di mezzi per il sostentamento nonché privi di uno Stato che li tuteli in quanto non cittadini israeliani e neanche “cittadini palestinesi”. Questa politica aggressiva mette anche in pericolo la vita degli israeliani stessi, i quali corrono rischi continui di aggressioni da parte delle popolazioni autoctone colonizzate.

Non esiste scusante legale per il modo disumano in cui queste popolazioni sono state ridotte.

Esistono diritti inviolabili che esulano da ogni procedura di codice interno o internazionale: i diritti umani. Questi diritti sono alla base della legittimità del processo di Norimberga che vide condannati i carnefici degli ebrei per dei crimini compiuti senza che in realtà fosse stata violata alcuna norma. In pratica gli autori dell’olocausto sono stati condannati per aver rispettato la legge, ergo non rispettare i diritti umani è un reato, a prescindere dal codice interno vigente.

Ed è questo il cancro della vicenda israeliana: non si può permettere ad uno Stato così virtuoso di commettere contemporaneamente sia una infrazione dei diritti umani e neanche gli si può permettere di ignorare le centinaia di direttive ONU che richiamano Israele al rispetto delle leggi.

Ovviamente, pur essendo oggi Israele uno Stato autonomo, non è uno Stato che da solo riuscirebbe a fronteggiare il diritto internazionale e le pressioni esterne senza che ci sia qualche potenza dietro, ed è ovvio che dietro Israele ci sia il supporto statunitense che con questo comportamento compromette tutta la struttura del diritto internazionale oltre che compromettere la longevità dello Stato ebraico.

Ed è proprio questo passaggio che non viene perdonato ad Israele e al suo rapporto con gli USA: se Bibi può calpestare il diritto internazionale e i diritti umani, allora sarà sufficiente avere un alleato forte per infrangere le regole? Perché altre potenze non dovrebbero avere il diritto di spadroneggiare?
Israele crea un pericolo precedente.

Questo circolo vizioso non può essere permesso: limitare la spregiudicatezza d’Israele oggi è un dovere pragmatico per salvaguardare il diritto internazionale, nonché Israele stesso.


(al Qunaytra, Golan. Territorio conteso Israele-Siria)

TAG: Benjamin Netanyahu, cisgiordania, Gaza, Gerusalemme, Israele, Palestina, striscia di Gaza
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