
Un anno fa Repubblica era in prima linea tra i quotidiani nel mirino di Luigi Di Maio, insieme al Corriere della Sera, l’Espresso, La Stampa, Il Giornale, il Messaggero e il Quotidiano Nazionale. Tutti colpevoli di aver diffuso “menzogne e notizie letteralmente inventate” sulla storia della polizza vita intestata dal dipendente comunale Salvatore Romeo alla sindaca di Roma Virginia Raggi. “La campagna diffamatoria nei confronti del Movimento 5 Stelle deve finire”, tuonava Di Maio su Facebook esattamente un anno fa “Anche quando la procura è intervenuta per ristabilire la verità, i giornali hanno continuato con le ipotesi, i sospetti, i dubbi e le insinuazioni. Nessuno sino ad oggi ha chiesto scusa né a Virginia Raggi, né al Movimento 5 Stelle, né ai lettori”.
Gli Italiani hanno creduto più a Luigi Di Maio e alla procura che ai giornaloni. Le elezioni hanno chiaramente premiato il M5S, che con oltre il 32% dei voti è il primo partito in Italia. E il leader dei pentastellati ha affidato proprio alle pagine della vituperata Repubblica il suo primo appello agli altri partiti.
Un appello alla responsabilità e una conferma che la linea già annunciata dal M5S in campagna elettorale non è cambiata. “Ho detto in ogni città dove sono stato che il governo per noi si sarebbe potuto fare in base a convergenze sui temi ed è la linea che intendo portare avanti in totale trasparenza di fronte ai cittadini e al Capo dello Stato. Tutte le forze politiche devono manifestare responsabilità in tal senso. Non è possibile che ora inizino teatrini, che si avviino giochi di palazzo e strategie alla House of Cards. Adesso è il momento di fare le cose che aspettiamo da 30 anni e lo si può fare solo cambiando metodo”.
Linguaggio semplice, autorevole e “istituzionale”, da prestigiatore esperto della cazzimma. Quel che ci si aspetta da un buon partenopeo.
Nella sua canzone-manifesto “A me me piace ’o blues”, il grande Pino Daniele dichiara provocatoriamente, «tengo ‘a cazzimma, e faccio tutto quello che mi va». A chi gli chiedeva che cosa fosse la cazzimma, Pino Daniele rispondeva così: “Cazzimma designa la furbizia accentuata, la pratica costante di attingere acqua per il proprio mulino. Chi tiene la cazzimma è un individuo scaltro, sicuro di sé, è il dritto che sa cavarsela”. E ha tanta grinta positiva.
Nel rebus del post-voto e del toto-alleanze, che di cazzimma ne abbia da vendere Di Maio l’ha dimostrato anche nella sua lettera a Repubblica. Ha scelto infatti il quotidiano storicamente vicino al PD per lanciare una stilettata che va dritta al cuore dei lettori nostalgici: “Il voto ha ormai perso ogni connotazione ideologica: i cittadini non hanno votato per appartenenza o per simpatia, ma per mettere al centro i temi che vivono nella propria quotidianità e per migliorare la propria qualità di vita”. Dico a nuora perché suocera intenda: se non appoggerà il programma del M5S (non chiamiamola alleanza), ora il PD provi a spiegare agli italiani perché.
Attenzione, la cazzimma può indicare anche semplicemente la cattiveria gratuita. Lo spiega in uno sketch il comico napoletano Alessandro Siani. A un ipotetico milanese che gli chiede cosa sia la cazzimma, risponde così: “Nun t’obboglio ricere, chest’è ’a cazzimma!”, cioè: “Non te lo voglio dire, questa è la cazzimma!”
Di Maio ha riempito di cazzimma il cavallo di Troia che ha affidato a Repubblica. Ora niente teatrini, giochi di palazzo e strategie alla House of Cards. Altrimenti la cazzimma si risveglia in undici milioni di italiani.