Sono trascorsi 5 anni dall’irruzione di Renzi sulla scena politica nazionale ed il susseguirsi
tumultuoso degli eventi ci costringe già a trarre delle conclusioni, ora che la nuova
legislatura batte alle porte, con tutti i suoi ansiogeni interrogativi.
Molti di coloro che avevano fortemente sperato nella nascita di una forza progressista e liberal-democratica, in grado di rompere gli equilibri di un bipolarismo straccione ed incapace di dare risposte alle esigenze di modernità indicate dal nuovo millennio, sono
costretti ad interrogarsi sulla praticabilità ed il futuro di tale progetto.
Va dato atto che il leader chiamato alla responsabilità di riempire di contenuti la diffusa vocazione al cambiamento non ha lesinato energie per trasformare il PD in un partito completamente diverso da quello che aveva ricevuto in eredità da Bersani, ma ciò non è
bastato a spezzare la rigidità corporativa della società italiana ed a prevalere sugli interessi consolidati. Dopo 3 anni di governo, segnati da importanti vittorie ed alcuni dolorosi passi falsi, una coalizione referendaria di tutti i conservatori lo ha pesantemente battuto, costringendolo a passare la mano a Gentiloni, mentre la Corte Costituzionale provvedeva a smantellare il suo Italicum.
Confermato nel ruolo di leader dal popolo delle primarie, nonostante le pesantissime offensive giornalistiche e giudiziarie, ha subito dovuto fare i conti con una vasta scissione ed una strisciante opposizione interna, incessantemente protesa verso la restaurazione.
Legittimo chiedersi cosa resti di quella speranza, ora che si riparla di ulivi e campi larghi della sinistra, di recupero del rapporto con i fuorusciti, in vista della contesa nei collegi uninominali.
Si profila il ritorno alle tradizionali coalizioni di centrodestra e centrosinistra ed il mesto accantonamento di quel sogno di Italia diversa, meritocratica, libera dalle pastoie ideologiche e dalla tirannia del politicamente corretto.