
Jean Portante ha viaggiato e viaggia moltissimo. Da Differdange, in Lussemburgo, a San Demetrio, in Abruzzo, paese originario dei suoi genitori, da Parigi all’Avana, passando per molte altre città e Paesi di vari continenti. Ma il viaggio più affascinante e significativo, il grande scrittore e poeta lussemburghese di origine italiana lo compie ogni giorno dentro sé stesso. E’ un viaggio di valore universale e condiviso, che riflette l’ambivalenza linguistica e l’inevitabile tendenza al neologismo o alla sovrapposizione linguistica di ogni migrante, all’interno del quale “respirano” idiomi e identità culturali diverse. Nel caso di Jean Portante, è proprio questo viaggio che anima la sua straordinaria capacità espressiva poetica e letteraria.
Maria Luisa Caldognetto, insegnante e traduttrice di molti libri di Jean Portante, ha invitato l’autore, che insegna all’Università di Lussemburgo, a ripercorrere le tappe principali del suo percorso letterario in un incontro che si è svolto il 1* febbraio presso la Libreria Italiana di Lussemburgo. Ornella Mollica e Cristina Abbaldo, che di recente hanno rilevato la Libreria, hanno impresso un apprezzato dinamismo alle attività finalizzate alla valorizzazione della cultura italiana e in questo contesto, l’incontro con Jean Portante ha assunto particolare rilievo.
La quasi totalità della vasta produzione letteraria di Portante (una trentina di titoli) è scritta in francese. Una lingua che Jean ha appreso e “addomesticato”, ma che anche dopo essersi trasferito a Parigi gli è rimasta “strana” e quindi, in qualche modo, costantemente da conquistare e “sentire” dentro di sé. Non a caso, “Etrange Langue” è il titolo di una sua raccolta di poesie, insignita nel 2003 del prestigioso Premio Mallarmé.
Nella sua infanzia, Jean “nuotava” in una società ben diversa dalla Lussemburgo di oggi, che ha fatto della multiculturalità e la diversità uno dei pilastri del suo sviluppo sociale, economico e culturale. Nella Lussemburgo degli anni ’50-’60, Jean viveva con fastidio le sue origini italiane, perché causa di scherno e discriminazione. E come molti figli di emigrati, viveva in un universo linguistico sfaccettato e complesso. A casa si parlavano il dialetto abruzzese, più che l’italiano, ma anche il lussemburghese e il francese. A scuola, l’alfabetizzazione nei primi anni passava esclusivamente attraverso il tedesco. In questa Babele di fatto, la lingua francese è diventata per Jean una “lingua balena”, che ha l’aspetto del francese (come la balena somiglia a un pesce), ma in cui respirano (come i polmoni della balena) la lingua italiana e gli altri idiomi parlati a Lussemburgo.
Il riferimento alla “lingua balena” rispecchia la storia dell’evoluzione di questo animale, che discende da un enorme cane. Della sua origine terrestre, la balena ha mantenuto i polmoni, l’elemento più prezioso ovvero indispensabile per la vita sul nostro pianeta. Come la balena, migrante del mare, anche Jean Portante ha voluto mantenere la cosa più preziosa della sua memoria migratoria: la lingua italiana, che già “respirava” in lui, ma che per anni è rimasta nascosta dentro la lingua balena transalpina. La scrittura di Jean, imperniata della sensibilità letteraria e umana dell’autore, è un viaggio da una lingua all’altra che consente, nella sua produzione poetica, di “neologizzare”, ovvero “stranierare” la lingua francese. I libri di poesie di Jean sono quindi una sorta di laboratorio linguistico in cui viene creata la “lingua balena” (di seguito alcuni tradotti in italiano: Aperto chiuso Ediz. Euroma, 1994; La morte del padre En plein edizioni, 1999 La cenere delle parole, Ediz. Empiria, 2011; Voglio dire, Ediz. La vita felice, 2012; L’invenzione dell’ombra, Raffaelli Editore, 2019; e Tu non c’era ancora, Ediz. La vita felice, Milano, 2022).
L’opera più nota di Portante è il romanzo autobiografico Mrs Haroy ou La mémoire de la baleine Premio Servais nel 1994, tradotto dalle Ediz. Empiria nel 2006 come Mrs Haroy – La memoria della balena. Il libro, che ha conosciuto uno straordinario successo di pubblico e di critica, ha riempito un vuoto nella letteratura dell’emigrazione in Lussemburgo e in Europa, restituendo all’immagine degli emigrati italiani in Lussemburgo il giusto valore.
E’ la storia dei primi dieci anni di vita di Claude e dei suoi familiari, sospesi tra due paesi, Lussemburgo e Italia, e tra due culture e due lingue radicalmente diverse. L’intreccio tra identità personale, famigliare e nazionale si fa più complesso a mano a mano che il racconto procede nella rievocazione del passato. Claude si rende conto che è impossibile tracciare un quadro univoco di spostamenti caratterizzati da ambivalenze, esitazioni e ripensamenti, che vengono vissuti diversamente dai vari componenti della famiglia. C’è chi non smette di guardarsi indietro, agognando un impossibile ritorno in Italia, e chi è più deciso ad una definitiva integrazione. In questo contesto, la memoria della balena è metafora del labirinto umano, psicologico ed esistenziale di Claude e di tutti i migranti.
Mrs Haroy è una balena che Claude ricorda di aver visto da piccolo, esposta su un vagone nella stazione di Differdange. Una balena ha davvero fatto il giro del Lussemburgo nel febbraio del 1953, esposta alla curiosità del pubblico. Reale o meno, la balena e le connotazioni evolutive ad essa associate sono patrimonio personale di Claude (e dell’autore, che “respira” nelle sue parole), e rappresentano una condizione creativa privilegiata. Perché oltre ad un’acutissima consapevolezza semantica e alla padronanza di varie lingue, che gli consentono di creare agganci e doppi sensi che sfuggirebbero ai più, la “memoria della balena” continua a guidare Jean Portante nel viaggio senza fine alla ricerca delle radici della sua capacità espressiva, consentendogli una sperimentazione semantica unica nel suo genere.