La rivolta del Crudele Giovedì Grasso (Crudêl Joibe Grasse in friulano, Crudel zobia grassa secondo il testimone e cronachista Gregorio Amaseo) scoppiata a Udine il 27 febbraio 1511 fu una importante insurrezione contadina, considerata da molti studiosi (tra cui Furio Bianco, autore di un bel libro sul tema) la maggiore dell’Italia rinascimentale.
Questo grave episodio nasceva dal difficile clima politico e sociale che regnava in Friuli dopo la caduta del patriarcato di Aquileia, sconfitto ed occupato dai veneziani nel 1420. La società del tempo viveva dinamiche simili a quelle prerivoluzionarie in Francia, quando il terzo stato (i contadini che costituivano la stragrande maggioranza della popolazione) oppressi dai privilegi dei primi due (clero e nobiltà) stava per scatenare la rivoluzione .
Anche nel nostro caso Il malcontento popolare trovava le sue ragioni nella situazione economica dei contadini, gravati non solo dai privilegi esercitati da clero e nobiltà ma anche da una pesante pressione fiscale dovuta alle continue guerre che le famiglie dei nobili combattevano tra loro. Tali conflitti causavano saccheggi e devastazioni ed obbligavano molti contadini a prestare servizio militare nelle milizie del loro signore.
Sullo sfondo della Zobia Grassa c’è anche un’altra guerra, cioè lo scontro geopolitico combattuto in zona di confine tra la Repubblica Veneta e l’Impero. Il conflitto è ricordato dagli storici come Guerra Friulana o Bellum Forojuriensis.
L’ imperatore Massimiliano d’Asburgo, infatti, rivendicava la Contea di Gorizia che l’ ultimo Conte Leonardo dei Mainardini gli aveva lasciato in eredità nel 1500, essendo morto senza eredi legittimi. Venezia temeva molto il passaggio di questi territori nella sfera di influenza austriaca, dato che il conte Leonardo non solo aveva lasciato all’ imperatore la città di Lienz, di cui era signore con quella di Gorizia, ma anche i villaggi di Cormons, Castelnuovo e in particolare Codroipo che sorgevano ben all’ interno del territorio friulano, ormai occupato da decenni dai veneti. Per risolvere la situazione fu proprio l’ imperatore Massimiliano ad iniziare le ostilità nel 1508, mentre Venezia resisteva appoggiandosi anche ai nobili locali a lei fedeli.
Secondo le cronache dell’Amaseo Il giovedì grasso 27 febbraio 1511 il nobile Antonio Savorgnan, campione degli Zamberlani (il partito veneto) avrebbe inscenato un attacco degli imperiali contro Udine, poco fuori Porta Aquileia. Per alcuni si sarebbe trattato di un diversivo messo in opera da soldati cividalesi comandati da Alvise da Porto, nipote del Savorgnan stesso, che nel frattempo chiamava a raccolta il popolo per la difesa.
In quel momento di massima confusione erano presenti in città le truppe del Savorgnan che avrebbe incitato i suoi a circondare il Castello di Udine, sede del governatore veneto il quale proprio la sera prima era riuscito a sedare l’ennesimo scontro tra zamberlani e strumieri ( il partito filoimperiale). Mentre Il governatore cinto d’ assedio non poteva intervenire i bravacci del Savorgnan, assieme a popolani e contadini, assalivano in massa i palazzi dei nobili strumieri accusati di favorire l’ esercito Imperiale.
E così la popolazione in armi iniziò a saccheggiare le dimore cittadine dei nobili, in primis il palazzo dei della Torre, i maggiori esponenti degli strumieri, e quindi, in un’ orgia di violenza, quelle dei Colloredo, della famiglia Frattina, dei Partistagno e dei di Castello. A questo punto molti degli strumieri si rinchiusero con famiglia ed armigeri all’interno delle mura cittadine mentre i rivoltosi cercavano di forzare le porte d’accesso ed iniziavano ad appiccare il fuoco, causando numerosi incendi.
In tutto questo il palazzo dei Savorgnan, come era prevedibile, non fu nemmeno toccato.
Nel corso degli scontri ci furono molte vittime illustri. I cadaveri furono spogliati e abbandonati per le vie del centro o trascinati nel fango e poi gettati vicino ai cimiteri, talvolta persino lasciati sulla strada ai cani. In quel carnevale crudele e violento alcuni ribelli indossarono gli abiti dei nobili trucidati mettendo in scena una recita a parti invertite, macabra e carica di scherno.
I nobili sopravvissuti vennero stanati, inseguiti e trucidati anch’ essi. Tra i tanti va ricordato Soldonero de’ Soldonieri che in fin di vita venne trasportato in cimitero per essere ammazzato. Seguì la stessa sorte anche Alvise della Torre, il quale però fu massacrato dai contadini di Malazompicchia.
Passarono alcuni giorni di confusione e di anarchia e il 1º marzo giunse a Udine da Gradisca una squadra di cento cavalieri armati, comandati da Teodoro del Borgo. L’ intervento riuscì a ristabilire l’ ordine pubblico solo in città, dove la crudele recita continuava; nel frattempo la rivolta dilagava senza freni, prima nel contado circostante Udine e poi in tutta la regione.
I contadini armati assediarono i castelli dei nobili riuscendo ad espugnare quelli di Spilimbergo, Valvasone, Cusano, Salvarolo e Zoppola. Numerosi altri castelli e fortilizi vennero invece distrutti, in particolare nella zona collinare, tra cui quelli di Arcano, Zucco, Cergneu, Tarcento, Colloredo, Caporiacco, Pers, Mels, Brazzacco, Moruzzo, Fagagna e Villalta .
La jacquerie si estese anche al di là del Tagliamento travolgendo Pordenone e Portogruaro come anche Porcia, Fratta, Cordovado e ancora altri centri. L’ agitazione si spinse fin verso la Marca Trevigiana ed a questo punto, per ristabilire l’ordine, la Repubblica Veneta inviò in Friuli un esercito con a capo il patrizio Andrea Loredan, membro del consiglio dei dieci.
Persino Buia e Pinzano, feudo dei Savorgnan, si ribellarono. Persino il nobile Antonio Savorgnan, il principale fautore della rivolta, riuscì a sedarla in casa propria solo con grande difficoltà.
Alla fine della sollevazione il governo della Serenissima istituì un tribunale speciale che processò i maggiori responsabili della rivolta, condannandoli a morte. Antonio Savorgnan non fu toccato dalla giustizia veneta, ma temendo persecuzione e vendette decise di tradire cercando rifugio in territorio imperiale.
Nel frattempo i nobili strumieri non stavano con le mani in mano. Alcuni di loro volevano vendicarsi eliminando il Savorgnan, che infatti il 27 marzo 1512 fu ucciso all’uscita della chiesa di S. Giacomo di Villaco (Austria) da sicari dei nobili di Spilimbergo e di Colloredo.
La tragedia del giovedì grasso ebbe conseguenze importanti anche su rapporti sociali.
Infatti, per evitare ulteriori rivolte, il governo della serenissima decise di creare una nuova istituzione detta la Contadinanza, e ciò al fine di dare agli agricoltori una sede in cui far sentire le proprie ragioni. La antica Casa della Contadinanza esiste ancora, ed è un palazzo che sorge sul piazzale del Castello di Udine.
Un mese dopo la rivolta, Il 26 marzo, un violentissimo terremoto devastò Udine e l’intera regione facendo circa 10.000 vittime e causando gravissimi danni.
Guardando alla recente epidemia di Covid ed alla guerra in corso viene in mente più di qualche analogia con i giorni nostri. La vicenda del 1511 sembra relegata in tempi lontani, ma viene da chiedersi se si tratti solo di una storia di ieri oppure di una vicenda di oggi. Probabilmente la storia non passa mai di moda.