
Settantasette i femminicidi in Italia da Gennaio 2022 ad oggi. Non si tratta più di un’emergenza, ma di una vera e propria strage. Con il termine “femminicidio” indichiamo l’uccisione di una donna, una parola entrata nel nostro vocabolario solo nel 2001 e diffusasi nel 2008 grazie alla pubblicazione del libro “Femminicidio” di Barbara Spinelli.
Una forma frequente di violenza, come quella domestica, attuata da familiari, persone vicine alle vittime e nella maggior parte dei casi dai partner. Un termine che non si esaurisce nell’atto di uccisione, ma ne indica un fenomeno di molteplici
condotte quali maltrattamenti, violenza sessuale, fisica, psicologica o ancora economica. Condotte agite prevalentemente da uomini in ambito lavorativo, familiare o sociale. Comportamenti che minano la libertà, la dignità e l’integrità di una donna.
Secondo i dati ISTAT il 35% delle donne in tutto l’emisfero globale ha subito almeno una volta una violenza e nello specifico per quanto riguarda l’Italia 6 milioni e 788 donne hanno affermato di aver subito almeno una violenza fisica o sessuale. Dichiara l’Assemblea Generale dell’ONU la violenza contro le donne come “uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini”. Come già sopracitato, non più un’emergenza, ma una vera e propria strage di indole internazionale.
Molti gli enti e le associazioni a disposizione delle donne per offrire supporto e quando necessario accoglienza, ma non basta. Molto spesso le vittime, diventano tali, in seguito a svariate denunce non avanzate adeguatamente a causa di un sistema giudiziario che possiede dei marcati limiti sull’agire prima che la tragedia venga compiuta.
Un problema sociologico trasmesso di generazione in generazione dove nell’educazione dei bambini di ieri e degli uomini del domani manca, forse, un rispetto verso le donne, una visione di parità e soprattutto di libertà non dovendo considerare il proprio partner come un oggetto posseduto senza spirito proprio. Infatti, per gli studiosi di questioni di genere, i femminicidi sarebbero casi di omicidi dolosi a sfondo discriminatorio o con matrice patriarcale.
Nell’Agosto del 2019 è entrata in vigore la legge n. 69/2019 detta anche “Codice Rosso”. Ci siamo mai chiesti se questa legge ha funzionato? Sta evitando stragi? Ma andiamo step by step.
Sebbene tra le vittime ci sia sempre titubanza sul denunciare per paura, vergogna o mancata comprensione, una volta presa la decisione spontaneamente o spinti da amici, la prima cosa da fare è stabilire un contatto tra la vittima e la polizia.
Serve pazienza e voglia di raccontare la lunga lista di eventi in un determinato spazio temporale e di riscontri, quali testimonianze, interventi delle pattuglie, accessi al pronto soccorso. Riscontri fondamentali per il sistema giudiziario italiano che sia per la condanna che per il rinvio a giudizio si basa su elementi concreti.
Secondo step prevede la comunicazione da parte della forza di polizia all’autorità giudiziaria. Ed ora entriamo nel pieno della legge 69/2019 la quale prevede che il magistrato debba risentire la vittima entro tre giorni.
Ciò ci fa dedurre che la vittima in prima istanza sia stata ascoltata piuttosto superficiale oppure che in quel frangente di tempo sia accaduto qualcosa di rilevante. Dunque riascoltare la vittima con probabilità bassissime aggiungerà elementi che possano bastare ad ottenere una misura cautelare la cui emissione spetta al GIP il quale basa il suo operato solo su
elementi concreti.
In conclusione il Codice Rosso sembra accelerare le fase iniziale investigative, ma trascura di gran lunga quelle successive, maggiormente rilevanti visti i traguardi da raggiungere.