
Molto rumore per nulla. Nel 1598, quando Shakespeare dà alla luce questa commedia teatrale, si preoccupa di infarcirla di elementi tragici e comici allo stesso tempo, mentre sullo sfondo si stagliano trame finto amorose e accordi spesso traditi. Nulla di più attuale. Per la scelta del nuovo Presidente della Repubblica alla fine la partita si è conclusa come molti speravano e altrettanti temevano.
Il Parlamento, che sostiene un esecutivo molto trasversale ed eterogeneo se non altro nelle sensibilità politiche, non è riuscito a mettersi d’accordo, a trovare quel nome tanto invocato di alto profilo morale e istituzionale da eleggere dopo Sergio Mattarella.
Così, per sciogliere il nodo gordiano della successione, nella consapevolezza di dover porre fine al gioco al massacro di nomi papabili bruciati in poche ore, alle delegazioni non è rimasto che cospargersi il capo di cenere e chiedere umilmente a Sergio Mattarella, con il trasloco già praticamente ultimato, di desistere dal suo fermo intento di abdicare. Ora, come normale che sia, tutti rivendicheranno la paternità di quella che ad oggi appare la scelta più saggia, o quantomeno inevitabile.
In molti però, è altrettanto certo, ne escono con le ossa rotte. Esiste ancora il centrodestra? Quante anime ci sono nei Cinquestelle? Che farà ora la Meloni? Letta ha ancora il PD in mano? Quale sarà il ruolo di Berlusconi? Domande che risuoneranno come un mantra nei prossimi giorni, se non altro fino all’inizio del Festival di Sanremo. Come per la rielezione di Napolitano, si dirà ancora che non si è stati in grado di scegliere un nuovo Presidente.
Se però le parole hanno un loro peso non trascurabile, il tiro va necessariamente aggiustato. Credo che non si sia trattato di incapacità ma di mancanza di volontà. Le forze politiche, anche in questa occasione, non hanno voluto fare una scelta. Questo perché le scelte implicano sacrifici, i sacrifici rinunce e le rinunce impongono coraggio. Ciò che effettivamente ancora latita.
Tra le poche certezze che ci consegnano queste ore, ce n’è una: la crisi della rappresentanza politica e la disaffezione dei cittadini, che trova negli alti tassi di astensionismo l’elemento più evidente, rischia di aggravarsi ancora di più. La gente, sospesa tra delusione e sconforto e con in tasca bollette salate da pagare, è sempre più stanca di una politica poco risoluta, di insulti e di gag fatte passare per dibattito politico. Solo la componente teatrale della politica sembra mantenere una forza attrattiva.
C’è ancora speranza allora per il futuro? Probabilmente sì. La scelta di Mattarella di mettersi comunque ancora a disposizione per il bene del Paese, ne è l’esempio più lampante. Se non altro ci restituisce la lezione, valida in ogni contesto, che quando la politica diviene il fine e non il mezzo, può ancora contribuire a trovare soluzioni e mantenere un profilo di saggia credibilità.