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Abbiamo incontrato il giovane professor Gilberto dal Cengio, ricercatore indipendente che collabora da anni con diverse case editrici, il quale ci ha raccontato della sua recentissima pubblicazione a carattere storico artistico edita per i tipi di Cierre, Verona agosto 2021.
“Arte e Astrologia nel Rinascimento italiano: il Salone dei Mesi di Palazzo Schifanoia a Ferrara”. Questo il titolo del volume. Di cosa tratta?
Il saggio, redatto su basi scientifiche di certa solidità, si distingue per la scorrevolezza e l’ecletticità della trattazione, rivolgendosi pertanto ad un pubblico allargato, non composto esclusivamente da specialisti.
Nella prima parte dell’agile volumetto contestualizzo storicamente il ciclo pittorico del Salone dei Mesi di palazzo Schifanoia, capolavoro del Rinascimento italiano, la cui “rivelazione”, dal punto di vista critico, è stata compiuta dall’illustre studioso tedesco Aby Warburg (1866-1929), nelle pagine dell’ormai notissimo studio, risalente al 1911, Italienische Kunst und internationale Astrologie im Palazzo Schifanoja zu Ferrara (traduzione italiana “Arte italiana e astrologia internazionale a Palazzo Schifanoia in Ferrara”).
I membri del casato estense (Alberto V, Leonello e Borso) incentivarono gli studi astrologici presso la brillante corte ferrarese, mercè l’apporto intellettuale di eccelse menti quali Giorgio Gemisto Pletone, Guarino Guarini e Pellegrino Prisciani. Significativa, in particolare, è l’individuazione delle fonti letterarie e degli autori (fra i quali si ravvisano Marco Manilio, che associò le divinità ai pianeti, Eudosso, Arato ed Eratostene, compilatori di significativi cataloghi stellari) che ispirarono gli estensori del programma iconografico.
Lei menziona anche il celebre astrologo Abū Mà’shar, è corretto?
Nome d’obbligo è, naturalmente, quello di ‘Far ibn Muḥammad al-Balkhi, meglio conosciuto come Abū Mà’shar, astrologo e astronomo musulmano del IX secolo, autore dei capitali testi Introductorium magnum in astrologiam, De magnis coniunctionibus et annorum revolutionibus ac eorum profectionibus, e De revolutionibus nativitatum.
Quali sono le altre peculiarità del suo libro?
Un nodo fondamentale affrontato nel mio saggio è costituito dallo studio e dalla decifrazione dei cosiddetti “decani”, ognuno dei quali presiede dieci giorni di ciascun segno zodiacale; a questo fine si accenna alla nota Tabula Bianchini, manufatto archeologico rinvenuto a Roma nel XVIII secolo. Richiamandomi sempre al celebre studioso e iconologo Warburg – e in specifico, per l’appunto, ai suoi studi su Schifanoia – insisto poi sulla figura dell’umanista Pellegrino Prisciani (1435 circa – 1518) il quale, come detto, unitamente ad altri eruditi, costituiva un ragguardevole punto di riferimento per la cultura astronomica e astrologica ferrarese.
Come si conclude la prima parte del testo?
Chiude la prima parte dello studio una breve trattazione sul potere degli astri correlato al temperamento saturnino: qui mi soffermo sull’atteggiamento ambivalente assunto dalla Chiesa nei confronti delle pratiche magiche ed astrologiche diffuse presso le corti rinascimentali italiane. Dopo aver considerato la figura di Pietro d’Abano (1250 circa – 1316) – il “Faust italiano”, secondo quanto afferma Warburg – si additano opere quali i cosiddetti Tarocchi del Mantegna, serie di carte da gioco (se vogliamo applicare una definizione riduttiva) esemplificativa del cammino agogico dell’anima verso la “Prima Causa”, rappresentata, secondo le dottrine tradizionali, dall’Empireo. Saturno è l’unica divinità assente a Ferrara:
attingendo alla fondamentale opera di Klibansky – Panofsky – Saxl, Saturno e la melanconia, è stato d’obbligo compiere, attorno a questa problematica, considerazioni inerenti la concezione rinascimentale riguardo al temibile dio, includendo finanche l’esame della celeberrima opera grafica di Albrecht Dürer (1471-1528) Melancolia I, incisa nel 1514.
Prof. Gilberto dal Cengio
Conclusa questa premessa, come prosegue la trattazione?
Nella seconda parte dello studio, circoscrivo la ricerca attorno al “contenitore” del ciclo di affreschi in esame, ossia il palazzo Schifanoia, “delizia estense” (destinata a «schivar la noia») inserita entro un contesto urbano in continua metamorfosi, grazie ad interventi pianificatori che, di volta in volta, ne scrissero la storia: per fare luce su siffatto versante di indagine ho tenuto conto dell’immagine di Ferrara che traspare dagli studi, sempre attualissimi, di Bruno Zevi. Passando al Salone dei Mesi vero e proprio, uno sguardo generale intorno ad esso è stato d’obbligo, valutando primariamente la dislocazione, negli spazi preposti (ossia le quattro pareti), degli interventi pittorici attribuiti ai maestri della scuola ferrarese. Una disamina, motivata dal raffronto tematico, viene da me effettuata nei confronti di un altro
significativo ciclo astrologico (dipinto attorno al 1460), ossia quello oggi conservato in una delle sale museali del castello Sforzesco di Milano (in origine pensato per il maniero di Roccabianca, nei pressi di Parma), noto come Camera di Griselda, poiché si rifà al Boccaccio (ultima novella del Decameron), dove però, al soffitto, campeggiano le costellazioni riferentesi al committente, tale Pier Maria de’ Rossi, conte di Berceto.
Tutto ciò è molto interessante e ricco di curiosità: infine, quando affronta il nucleo tematico principale, ovvero l’oggetto precipuo dello studio?
Il nucleo principale di questo saggio lo sviluppo nella parte terza, preposta all’analisi circostanziata, iconografica e iconologica (di panovskiana memoria), delle immagini dei Mesi di Schifanoia. Ciascun brano pittorico occupante le pareti è suddiviso in tre fasce orizzontali di diversa ampiezza: la più alta contempla il trionfo di una specifica divinità (Marzo Minerva, Aprile-Venere e così via); il settore mediano illustra, per lo più antropomorfizzati o zoomofizzati, i decani (in questa sezione sono vieppiù narrate le vicende che hanno interessato i personaggi mitologici ai quali essi si riferiscono); infine, la fascia inferiore, che corre al livello dell’osservatore, espone l’esaltazione del committente Borso d’Este, denunciando un palese intento celebrativo; tale proponimento encomiastico è peraltro congiunto alla raffigurazione delle attività agricole e commerciali che si compivano nei campi e in città, secondo una modalità che rispecchia una tipica concezione derivante dalla cultura visiva e ideologica dell’epoca medievale. Gli appunti finali, che chiudono il testo, costituiscono, invece, la parte del volume più propriamente legata al vaglio di quegli argomenti di natura storico-artistica: in essi si ricostruisce (perseguendo la sinteticità dell’esposizione coerente all’impostazione generale) la vicenda, stilistica e biografica, degli autori della scuola ferrarese (l’Officina ferrarese di longhiana memoria) composta principalmente dal Cossa, dal Tura e dal De’ Roberti. In ciò basandomi, oltre al già rammentato Warburg, sugli studi di Venturi (L’Arte Ferrarese nel periodo di Ercole I d’Este, 1888-1889); Ragghianti (Studi sulla pittura lombarda del Quattrocento, 1949); D’Ancona (I Mesi di Schifanoia in Ferrara, con una notizia critica sul recente restauro di Cesare Gnudi, 1954); Bianconi (Tutta la pittura di Cosmè Tura, 1963); Molajoli (L’opera completa di Cosmè Tura e i grandi pittori ferraresi del suo tempo: Francesco Cossa e Ercole de’ Roberti, 1974); Benati (La pittura a Ferrara e nei domini estensi nel secondo Quattrocento: Parma e Piacenza, 1987); Lucco (La pittura a Bologna e in Romagna nel secondo Quattrocento, 1987); Cieri Via (I trionfi, il mito e l’amore: la fascia superiore dei Mesi negli affreschi di Palazzo Schifanoia, 1989); Varese (Atlante di Schifanoia, 1989; Gli affreschi di Palazzo Schifanoia, 2003); Bacchi (Francesco del Cossa, 1991); Visser Travagli (Palazzo Schifanoia e palazzina Marfisa a Ferrara, 1991); Franceschini (Artisti a Ferrara in età umanistica e rinascimentale. Testimonianze archivistiche. Parte I: dal 1341 al 1471, 1993); Longhi (Officina ferrarese, ed. 1995); Molteni (Ercole de’ Roberti, 1995); Cassani (Il Salone dei Mesi di Palazzo Schifanoia. Il registro inferiore come “atlante” del principe, 2000); Sgarbi (Per Schifanoja. Studi e contributi critici, 1987; Francesco del Cossa, 2003); Natale (Le arti a Ferrara nel Quattrocento, 2003); Cavalca (Francesco del Cossa tra Ferrara, Firenze e Bologna, 2007); Farinella (I pittori, gli umanisti, il committente; problemi di ruolo a Schifanoia, 2007); Toffanello (Cosmè Tura e l’arte di corte, 2007); e, infine, Folin (Borso a Schifanoia: il Salone dei Mesi come “speculum principis”, 2007). Unitamente a ciò, vengono accennati esempi analoghi di cicli a carattere astrologico, allargando in tal maniera lo sguardo in direzione di altre significative ed imprescindibili, anche se talvolta cronologicamente (ma non idealmente) posteriori, realtà della penisola italiana.
Professore, la ringrazio di questa sua illuminate illustrazione al testo, sicuramente ricco di sorprese per gli appassionati di arte, storia, astrologia e scienze ermetiche. Il libro è stato sponsorizzato? Ha ricevuto l’appoggio di qualche ente?
“Arte e Astrologia nel Rinascimento italiano: il Salone dei Mesi di Palazzo Schifanoia a Ferrara”, edito da Cierre, importante editore veronese al quale porgo i miei ringraziamenti per l’eccellente resa critica e grafica, è sostenuto dal Club UNESCO di Vicenza, ente che opera sotto la diretta supervisione della Commissione Nazionale UNESCO. Con l’occasione ringrazio il dottor Enrico Tezza e l’architetto Francesca Bressan, che mai hanno cessato di credere nell’annosa realizzazione del mio saggio, precisando che costoro mi hanno sostenuto anche nella realizzazione della mia guida di Vicenza “Riscoprire Vicenza. Guida al centro storico e ai dintorni della città” uscita nel 2020 per i tipi di Editoriale Programma di Treviso.