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L’Oceania e gli interessi contrapposti di Pechino e Washington

Da tempo la crescente influenza della Cina in Oceania ha provocato un netta opposizione di Canberra e Wellington, motivandola con la preoccupazione per la loro sicurezza nazionale. Si può presumere che tale reazione sia anche in gran parte dovuta all’irrigidimento della posizione degli Usa per quanto riguarda una cooperazione con questi Paesi della Cina.
| 12 Maggio 2021 | ESTERI

di Giancarlo Elia VALORIHonorable de l’Académie des Sciences de l’Institut de France

I Paesi delle isole del Pacifico hanno una vasta area, che copre 51,8 milioni di chilometri quadrati di acqua e solo circa 303.000 kmq. di superficie terrestre (pari a poco più di quella italiana). Essi sono sparsi fra Melanesia, Micronesia e Polinesia.

Alcuni esempi. Palau è situata nei mari occidentali della Micronesia: il Paese copre un’area di circa 487 kmq; ci sono anche circa 340 isole vulcaniche, con una zona economica esclusiva (ZEE) di 630.000 kmq., che è strategicamente importante perché può controllare le principali rotte tra le Filippine e Guam. Le ZEE sono aree marine, adiacenti alle acque territoriali, in cui uno Stato costiero ha diritti sovrani per la gestione delle risorse naturali, giurisdizione in materia di installazione e uso di strutture artificiali o fisse, ricerca scientifica, protezione e conservazione dell’ambiente marino.

Le isole Marshall sono poste situate nei mari orientali della Micronesia: la superficie del Paese è di soli 181,3 chilometri quadrati, ma la sua ZEE è vasta: 2,13 milioni di kmq.; l’intero Paese è composto da 29 atolli principali e 1.225 piccole isole.

Per quanto riguarda l’isola di Nauru, che si trova anche nella regione della Micronesia, essa ha una superficie di soli 21,2 chilometri quadrati. Poi v’è Tuvalu in Polinesia: composto da nove isole a scogliera, con una superficie terrestre di 25,9 chilometri quadrati e una ZEE di 900.000 kmq.

Si possono notare le seguenti caratteristiche.

  1. Le superfici terrestri sono piccole – meno di 500 kmq. – ma le ZEE sotto la loro giurisdizioni sono vaste, remote e lontane dai principali mercati come la Cina, gli Usa, l’Europa e l’Asia. La posizione remota richiede molto tempo e costi elevati per il mondo esterno sia nel trasporto aereo che marittimo.
  2. Fatta eccezione per Nauru, che è un’isola di roccia dura e sollevata dal fondo del mare da depositi di sedimenti fosfatici, e Palau, vi sono piccole isole fatte di rocce vulcaniche: le isole Marshall e Tuvalu, Paesi del Pacifico composti da scogliere o barriere coralline. Sono poste sul livello del mare a solo circa 2-4 metri, quindi sono molto vulnerabile ai disastri naturali tra cui uragani e tsunami, nonché ai cambiamenti climatici globali che causano l’innalzamento del livello del mare, l’erosione della costa e la salinizzazione dell’acqua di mare, il che rende il suolo sfavorevole per crescita delle colture.

Anche in queste zone si riverbera lo stato attuale delle cose in Oceania nel contesto della crescente influenza della Cina e della rivalità con gli Usa in quasi tutte le regioni del mondo.

È importante la regione per gli Usa e la Cina, in quanto il rafforzamento di Pechino influisce sugli Stati insulari dell’Oceano Pacifico, e gioca un ruolo importante pure sull’Australasia, composta da Australia e Nuova Zelanda.

Si noti che il principale fattore nelle relazioni tra Cina e questi Stati insulari è la fornitura di assistenza economica a condizioni più favorevoli. Per quanto riguarda i rapporti con l’Australia e la Nuova Zelanda, l’interesse della Cina è principalmente legato all’acquisto dei beni di cui necessita, principalmente minerali, legname e prodotti agricoli.

Per gli Usa la regione è interessante quasi esclusivamente nel contesto della possibilità di una presenza militare, in vista di una futura “Midway II”.

Da tempo la crescente influenza della Cina in Oceania ha provocato un netta opposizione di Canberra e Wellington, motivandola con la preoccupazione per la loro sicurezza nazionale. Si può presumere che tale reazione sia anche in gran parte dovuta all’irrigidimento della posizione degli Usa per quanto riguarda una cooperazione con questi Paesi della Cina, dipinta come Leviatano che sorte dall’Oceano oppure – peggio! – il Cthulhu lovecraftiano.

Gli alleati statunitensi sono attenti alla presenza militare della Cina in Oceania, ma a breve e medio termine essa non ha basi stabili. L’ulteriore sviluppo della situazione della politica estera in Oceania sarà determinato sia dall’attività della Cina che dalla posizione degli Usa. La divisione futura degli Stati della regione in gruppi filostatunitensi e filo cinesi non è esclusa.

Dall’inizio di questo secolo, la Cina ha acquisito lo status di importante partner economico e di politica estera dei Paesi dell’Oceania, tra cui pure i predetti Australia, Nuova Zelanda e Stati insulari del Pacifico sud-occidentale.

Da quando Xi Jinping è salito al potere in Cina, l’attività della Cina nella regione è incrementata. La Cina ha grande interesse per le risorse forestali, minerali e ittiche della regione; è anche coinvolta nel fornire assistenza finanziaria a un certo numero di Paesi. La crescente influenza della Cina nella regione si sta verificando sullo sfondo della crescente influenza finanziaria ed economica tra i Paesi in via di sviluppo ed anche sviluppati. Oltre a ciò v’è un aumento del potenziale militare del Paese, nonché i suoi sforzi mirati per garantire la sua presenza nelle zone e nelle vie di comunicazione più importanti, stabilendo una seria presenze nei vari impianti portuali.

Allo stesso tempo, l’Oceania è una regione in cui gli Usa hanno una presenza significativa dalla II Guerra mondiale. La regione è di importanza strategica per loro, poiché ospita importanti installazioni militari come basi radar, sistemi di difesa missilistica e poligoni missilistici di prova.

La crescente influenza della Cina nella regione è vista come una minaccia nella visione statunitense di un Oceano Indo-Pacifico “libero e aperto” solo agli interessi strategici, economici e militari di Washington, per cui gli Usa devono mantenere legami diplomatici con i Paesi di questa regione.

Come evidenziato nella Strategia di sicurezza nazionale degli Usa del 2017, Washington fa affidamento su Australia e Nuova Zelanda per ridurre le vulnerabilità economiche e ridurre i danni causati dalle catastrofi  dei partner insulari degli Usa.

Washington ha accordi di libera associazione con gli Stati Federati di Micronesia, le Isole Marshall e Palau. Questi Stati sono formalmente indipendenti, determinano essi stessi le loro politiche interne e la sorte dei propri ricchissimi sottosuoli delle ZEE; sono soggetti di consultazioni con gli Usa e membri delle Nazioni Unite. Ricevono regolarmente il sostegno finanziario statunitense e hanno diritto a viaggi, residenza, lavoro e studio senza visto negli Usa.

In cambio, Washington ha ricevuto l’accesso militare illimitato al territorio terrestre, marittimo e aereo di tali Stati. In termini di politica estera e di difesa, questi Paesi non possono prendere decisioni che la leadership statunitense considera inaccettabili.

Guam e le Samoa Americane sono in pratica territori degli Usa. Il popolo di Guam, a differenza del popolo delle Samoa Americane, è cittadino a pieno titolo degli Usa, ma nessuno dei territori ha rappresentanti nel Congresso statunitense: cittadini di Serie B.

Guam ospita la base navale di Andersen Air Force, nonché il complesso antimissile Terminal High Altitude Area Defense (Difesa d’àrea terminale ad alta quota) e una base rotazionale dell’aviazione da trasporto per bombardieri.

I Paesi dell’Oceania meridionale (Papua Nuova Guinea, Figi, Tonga e Samoa) ricevono 750 mila dollari Usa all’anno per condurre esercitazioni militari e addestrare il personale delle forze armate e della polizia. I Paesi della regione stanno anche conducendo esercitazioni congiunte con le forze armate statunitensi come parte dell’Oceania Maritime Security Initiative.

Dall’inizio di questo secolo, le relazioni fra gli Usa con la maggior parte dei Paesi della regione non sono state accompagnate da sconvolgimenti significativi. L’eccezione sono le Figi, un’ondata di freddezza che è durata fino al 2014, e poi scongelatasi dopo una serie di colpi di Stato su base etnica e religiosa.

Dai tempi di Barack Obama l’interazione della politica estera statunitense con i Paesi della regione si è in qualche modo intensificata e questa tendenza è continuata durante l’amministrazione Trump.

La differenza principale è stata che l’interazione degli Usa con i Paesi d’Australasia-Pacifico sotto Trump è avvenuta alla luce della rivalità strategica con la Cina. Inoltre, sotto Trump, l’agenda sui cambiamenti climatici – che è di fondamentale importanza per i Paesi della regione – ha perso la sua rilevanza, poiché l’innalzamento del livello del mare là pone la minaccia di inondazioni e problemi con l’acqua dolce.

I rapporti commerciali ed economici degli Usa con i Paesi della regione sono insignificanti e si svolgono principalmente sotto forma di assistenza finanziaria da parte della Casa Bianca.

Al contempo va detto che la storia dell’interazione della Cina con gli Stati insulari dell’Oceania iniziò con l’arrivo di lavoratori migranti dalla Cina nella regione alla fine del XIX secolo. A metà degli anni Settanta, la Cina ha stabilito relazioni diplomatiche con Papua Nuova Guinea, Figi e Samoa occidentali. Nonostante il fatto che gli Stati insulari dell’Oceano Pacifico non svolgano un ruolo significativo nella politica militare o economica di Pechino, a cavallo tra il XX e il XXI secolo, la Cina ha iniziato ad aumentare notevolmente la sua influenza in Oceania.

Nel 2006 si è svolta la prima visita in assoluto del premier cinese nella regione: il geologo Wen Jiabao ha visitato le Figi per aprire il Forum sullo sviluppo economico e la cooperazione tra la Cina e gli Stati insulari del Pacifico.

Nel 2018, il volume degli scambi tra la Cina e i Paesi della regione – che hanno relazioni diplomatiche con essa – ammontava a 4,3 miliardi di dollari, e il volume degli investimenti diretti cinesi era di 4,5 miliardi di dollari.

La Cina è attivamente coinvolta nella fornitura di assistenza finanziaria ai Paesi della regione. Il suo volume dal 2006 al 2016 è stato di 1,781 miliardi di dollari. Inoltre i Paesi dell’Oceania sono un’area di sviluppo del turismo cinese. Cinque Stati dell’Oceania (Papua Nuova Guinea, Figi, Samoa, Tonga, Vanuatu) e le Isole Cook (Paese in libera associazione con la Nuova Zelanda) hanno espresso il desiderio di partecipare al progetto China One Belt One Road.

La maggior parte dei Paesi della regione possiede prevalentemente risorse ittiche e forestali, che vengono già esportate con successo in Cina (soprattutto Isole Salomone e Papua Nuova Guinea). Papua Nuova Guinea ha il maggior potenziale per lo sviluppo della cooperazione economica con la Cina. Nel 2005, il governo del Paese ha stipulato un accordo che conferisce a Pechino il diritto di esplorare e sviluppare nuovi metodi per l’estrazione di oro, rame, cromite, magnesio e altri minerali. Inoltre, è stato firmato un accordo con la società Sinopec sulla vendita annua di due milioni di tonnellate di gas liquefatto prodotto in Papua Nuova Guinea. Il Paese ha un’impresa di proprietà cinese per la produzione di nichel e cobalto, dove una delle società statali cinesi ha investito circa 1,4 miliardi di dollari.

In più Papua Nuova Guinea e Vanuatu forniscono supporto diplomatico alla Cina, in particolare, su questioni quali le controversie territoriali nel Mar Cinese Meridionale. Innanzitutto, ciò è dovuto al fatto che l’assistenza economica degli Usa e di numerose organizzazioni internazionali è associata ai requisiti per le riforme interne, ad esempio la liberalizzazione economica, e ci vuole molto tempo per approvarla dai primi e riceverla dai secondi, mentre i prestiti e gli aiuti economici cinesi non sono legati a tali restrizioni, in quanto l’Impero di Mezzo non s’ingerisce negli affari interni degli Stati: in parole povere Pechino non ha mai bombardato nessuno per imporre il suo sistema socio-economico-politico agli altri.

Per finire va detto che la regione è di grande importanza per la Cina anche perché in essa si trovano un numero di Paesi che intrattengono relazioni diplomatiche con Taiwan: Isole Marshall, Nauru, Palau e Tuvalu, pur se la mancanza di relazioni diplomatiche non interferisce con lo sviluppo del commercio,

La Cina non ha una presenza militare in Oceania. L’unica struttura simile nella regione, una stazione di terra per comunicazioni satellitari nello Stato di Kiribati, è stata smantellata dopo la fine delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi nel 2003 (però riprese nel 2019 ma senza presenza militare cinese).

La Cina ha tutte le possibilità di diventare un Paese leader in Oceania, e di promuovere costantemente l’agenda per lo sviluppo sostenibile. Per quanto riguarda i piani strategici della Cina per la regione, rimangono molto vaghi. La Marina cinese è troppo lontana dalla terraferma per svolgere operazioni su larga scala in quella zona. L’attenzione della Cina è focalizzata sulla sicurezza delle rotte di trasporto dell’energia e sulla situazione nello Stretto di Taiwan.

In teoria, l’ulteriore sviluppo di partnership con alcuni Paesi dell’Oceania meridionale non esclude la comparsa sul loro territorio di strutture che potrebbero essere di importanza militare per la Cina. Va notato che gli accordi di libera associazione tra gli Usa e gli Stati dell’Oceania settentrionale scadranno nei prossimi cinque anni: con gli Stati federati di Micronesia e le Isole Marshall nel 2023, con Palau nel 2024. Non c’è dubbio che il i termini di questi accordi verranno estesi, ma la futura posizione degli Usa sul cambiamento climatico è basica.

Il continuo pedalare degli alleati statunitensi nella regione sul tema della rivalità con la Cina potrebbe portare a un deterioramento dei loro rapporti con i Paesi della regione, che percepiscono positivamente la cooperazione con la Cina Popolare.

TAG: Australia, Interessi, Oceania, Pechino, politica USA
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