Pensando alla politica di oggi molti sono gli argomenti che vorrei affrontare per cercare di capire in che direzione sta virando L’Italia.
Da sempre mi sono occupato dei giovani e delle loro possibilità di crescita così come delle donne per una loro maggiore partecipazione attiva alla vita politica , sociale culturale e imprenditoriale .
Cercherò di esprimere il mio sentire partendo dal caso politico-diplomatico del giorno. Non condivido il comportamento di Erdogan nei confronti della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen.Non posso condividere assolutamente Erdogan perché credo che sia stato un comportamento inappropriato, che la presidentessa della Commissione Europea ha dovuto subire.
Questo ci riporta indietro negli anni e ci pone l’interrogativo sul come sia effettivamente cambiata la situazione della donna in ambito politico.
Le donne in Italia rappresentano oltre la metà della popolazione, ciononostante occupano solo un terzo delle cariche politiche nazionali e meno di un quinto di quelle locali. Un dato scoraggiante per due ragioni: dimostra quanto sia lontana l’agognata parità numerica ed evidenzia un limite nella rappresentanza degli interessi e diritti specifici alla condizione di donna.
Nonostante un miglioramento costante durante gli ultimi venticinque anni, il raggiungimento di un equilibrio tra donne e uomini nelle istituzioni appare ancora lontano. Per rendere più effettiva la rappresentanza femminile bisognerebbe focalizzarsi maggiormente sulle barriere che scoraggiano le donne dal competere nelle elezioni e condurre una campagna elettorale. Difatti, barriere strutturali come la distribuzione diseguale del lavoro domestico e gli stereotipi di genere risultano ancora forti fattori deterrenti per l’opportunità e la legittimazione della partecipazione attiva alla vita politica da parte delle donne. Politiche volte a conciliare lavoro, in questo caso la rappresentanza politica, e famiglia potrebbero aiutare .
Uno strumento più radicale per legittimare le cosiddette “quote rosa”, spesso viste di cattivo occhio, sarebbe quello suggerito dalla politologa Rainbow Murray. Secondo l’accademica, infatti, una strada da seguire potrebbe essere quella non più di presentare il problema come una carenza di rappresentanza femminile, quanto piuttosto come un’eccessiva rappresentanza maschile.
Tale cambiamento di paradigma potrebbe finalmente permettere di non percepire più le donne in politica come “altre”, una sorta di minoranza da proteggere mediante quote minime, ma come una componente fondamentale della società con lo stesso diritto a partecipare alla vita politica della controparte maschile.
Ma il mio pensiero è sempre rivolto anche ai giovani.
Ormai molti anni fa in Italia si è data ai giovani l’emancipazione giuridica ai diciotto anni riconoscendo, quindi, ai giovani il diritto di considerarsi e di farsi valere come membri della società a parte intera, a pieno diritto. Certamente, per questo aspetto, la società si è mostrata aperta verso i giovani; ma finché non si offre lavoro, uno dei più gravi problemi rimane insoluto.
Per quanto la società industriale crei risorse sufficienti a far sì che i giovani possano essere mantenuti agli studi fino a venticinque anni e quindi rimangano fuori del sistema produttivo, noi non abbiamo risolto la questione. Anche dopo gli studi si vedono poche prospettive. Va pure rilevato che, a certo livello, gli studi staccati dall’esercizio corrispondente sono troppo frustranti.
Con quest’ultimo rilievo si vuol dire che una scuola fatta solo sui libri e senza contatto col mondo del lavoro, della produzione, cioè della vita, rende la stessa preparazione poco abilitante. Giova tenere presente che la gioventù per sua caratteristica dispone di duttilità mentale e capacità creativa, che se talora possono ingenerare forme di contestazione, esse, tuttavia, costituiscono l’alveo cui attingere per un rinnovamento sociale.
Il cammino della civiltà segna tra i suoi protagonisti giovani coraggiosi, fortemente impegnati.
Certo è che le parole sono il pericoloso strumento con cui sempre più spesso i media fanno da cassa di risonanza alla cultura della paura del disimpegno e della scelleratezza che convince i giovani dell’assenza di ragioni valide per cui lottare o sognare.
E li chiude alla vita nella quotidianità dell’impegno scolastico, familiare e sociale privandoli di entusiasmo e di futuro.
Scoraggiati. Depressi. I giovani d’oggi vivono, prima che il dramma reale della “crisi”sanitaria economica e valoriale, quello del suo fantasma. Messo in prima pagina, sbandierato in tv e quasi pro-grammato dallo stillicidio quotidiano di allarmi e invettive. Risultato, hanno paura. Arretrano.E rifiutano la la vita.
A loro vorrei rivolgere un messaggio accorato: volate alto!
Spingere i giovani a volare alto, in un mondo in cui tutto e tutti ripetono di navigare a vista è la prima sfida e il primo dovere di ogni genitore, educatore, politico.