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L’America del Grande Disagio

| 7 Gennaio 2021 | ATTUALITÀ, POLITICA

La democrazia americana alza le sopracciglia davanti alla sfilata grottesca di uomini mascherati all’interno di Capitol Hill. Si è rimasti  sgomenti di fronte a quegli individui in costumi da indiani nativi,  in mimetica, con bizzarri copricapi e con in mano bandiere che parlavano più di stadio che di politica. Con i modi della violenza, dell’ignoranza, della prepotenza, a favore di filmati ripresi dai cellulari e di improbabili selfies, si sono introdotti con la forza nel tempio della politica americana. E mentre il mondo si chiedeva  se la diretta di questa rutilante e imbarazzante commedia umana fosse la brutta copia di una distopica finzione cinematografica, la realtà ha rimandato ancora una volta ad un mondo dominato dalla censura del virtuale.

Come dire che, se la realtà è brutta, la sua narrazione si avvale di un virtuale che non è da meno. Che influenza e accende animi esacerbati e disconnessi. Non dalla rete, ma dalla civiltà.

Le chiamate alle armi e gli appelli  si susseguono da parte di un Presidente uscente che non accetta di uscire di scena, e che da due mesi denuncia frodi elettorali che  non è riuscito a provare.  E su Trump è calata ancora una volta la scure di Twitter, che ha cancellato un video  e disattivato likes ad altri messaggi.

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Un pattern ricorrente da tempo, che non solo non ha scoraggiato i sostenitori, ma è riuscito a trasformare gli atteggiamenti da guitto e autocommiserante vittima del sistema del Presidente in una eroica “resistenza” osannata dal popolo dei  suoi “patrioti”,  sul filo di un ccomplottismo seducente che fa leva su tutte le contraddizioni e le falle del “mainstream”.

L’America lacerata dalle divisioni interne e dalle ferite aperte della pandemia si sveglia con la consapevolezza di un nuovo incubo. Il fenomeno Trump è lontano dall’essere archiviato da Biden/Harris come un fastidioso e imbarazzante incidente di percorso della democrazia.

Sarebbe utile una riflessione: combattere le idee di Trump a colpi di censura (in particolare su Twitter, il social al quale il Presidente uscente ha affidato la maggior parte delle sue esternazioni) non è servito a nulla. Anzi, ha contribuito a fare di lui un eroe agli occhi dei suoi sostenitori, e a creare un certo disagio anche tra chi, pur non sostenendolo, non condivide il metodo.

Una censura spesso portata avanti in nome della  lotta alle fake news. Una battaglia alimentata anche da interessi economici e atteggiamenti che sollevano pesanti dubbi sulle reali motivazioni di alcune censure.

Una censura che va in ogni caso stretta ad una parte importante della società civile, che rivendica il diritto di farsi un’idea propria sugli affari politici, economici o di costume.

Anche di questo si è nutrito  Trump nella sua propaganda contro la propaganda mainstream.

Forse da questa Epifania dell’orrore l’America si sveglierà con una nuova consapevolezza:  la censura non ha niente a che fare con la democrazia, e può contribuire a creare mostri.

TAG: #Biden, #CapitolHill, #WashingtonDC, Trump
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