
Il 7 dicembre 1970 cadono due importanti anniversari.
Il primo è una celebre e mai abbastanza ricordata genuflessione. Willy Brandt, il primo cancelliere socialdemocratico tedesco del dopoguerra, nel corso di una visita ufficiale a Varsavia compì un gesto del tutto inaspettato che rimase nella storia. Mentre rendeva omaggio a un monumento alla rivolta del ghetto di Varsavia, uno degli episodi centrali della resistenza polacca che si concluse con un terribile eccidio compiuto dalle forze naziste, si inginocchiò rimanendo raccolto per trenta secondi nello stupore generale.
Il suo gesto ebbe una risonanza vastissima e il cancelliere, parlandone successivamente, dichiarò che “I miei più stretti collaboratori non erano meno sorpresi dei giornalisti e dei fotografi che erano in piedi accanto a me”. Nelle sue memorie, scritte anni dopo, Brandt ricordava così la sua genuflessione “Posto di fronte all’abisso della storia tedesca e al peso dei milioni di persone che furono uccise, ho fatto quello che noi uomini facciamo quando le parole ci mancano”.
Secondo un sondaggio promosso all’epoca da Der Spiegel, il più diffuso settimanale tedesco che negli anni 70 tirava circa 900.000 copie, solo il 41% dei tedeschi valutò il comportamento di Brandt come appropriato mentre il 48% riteneva che inginocchiarsi fosse un’ esagerazione. L’11% invece non espresse alcuna opinione. (1) Il sondaggio fotografava l’ immagine di un Paese dalla memoria molto divisa, tanto che l’ anno successivo quel gesto, passato alla storia come Kniefall von Warschau (genuflessione di Varsavia) fu anche usato strumentalmente in un voto di sfiducia contro il cancelliere. Il tentativo fu promosso dai cristiano democratici ma non riuscì, venendo respinto per soli due voti.
Il secondo anniversario riguarda il Trattato di Varsavia, un accordo estremamente importante firmato da Brandt lo stesso 7 dicembre, solo poche ore dopo la sua genuflessione.
In sostanza il cancelliere socialdemocratico era a Varsavia per chiudere la questione del confine orientale siglando un accordo con cui la Germania Federale rinunciava ai territori ex tedeschi (Pomerania, Slesia e Posnania oltre alla parte meridionale della Prussia Orientale) situati oltre la linea dei fiumi Oder e Neisse, il confine di fatto tra Germania e Polonia fin dal 1945.
L’ altra Germania, quella orientale, aveva risolto il problema già vent’ anni prima con il trattato di Zgorzelec, detto in tedesco Görlitzer Abkommen dato che la città – sita proprio sul fiume Neisse – aveva nomi diversi nelle due lingue.
Tale accordo fu sottoscritto il 6 luglio 1950 da Otto Grotewohl primo ministro provvisorio della DDR ( Germania Democratica) e dal primo ministro polacco Józef Cyrankiewicz rendendo definitiva la linea dei fiumi Oder-Neisse quale confine tra i due stati. Secondo molti questo accordo sarebbe stato sottoscritto in seguito a pressioni sovietiche.
L’ Urss infatti era in qualche modo parte in causa nella vicenda avendo occupato nel 1939 la parte orientale della Polonia, paese al quale dopo la fine del conflitto era stata assegnata la zona più orientale della Germania quale compensazione.
Coincidenza vuole che Willy Brandt, firmatario del Trattato di Varsavia, fosse il primo cancelliere socialdemocratico del dopoguerra nella Germania Federale, mentre Otto Grotewohl fu il primo capo di governo ex socialdemocratico nella Germania Orientale. Grotewohl, infatti, era stato presidente della SPD nella Germania occupata dai sovietici, cioè nella futura DDR (Germania Democratica).
Nel 1946 proprio lui, dopo una iniziale contrarietà, impose al suo partito l’unificazione con i comunisti per dar vita alla SED (Sozialistische Einheitspartei Deutschlands). Nacque così il partito socialista unificato di Germania che avrebbe governato la DDR fino al 1989.
Ma chi era Willy Brandt? E perché egli si era inginocchiato davanti a un monumento che ricordava vittime ed orrori della storia tedesca? Occorre subito ricordare che il cancelliere chiedeva perdono per colpe non sue.
Brandt era nato il 18 dicembre 1913 a Lubecca con il nome di Herbert Ernst Karl Frahm. Era figlio di una ragazza madre da cui prese il cognome ed in assenza del padre fu allevato da lei e dal nonno. Socialista dai 16 anni, fu sempre oppositore del nazismo e dopo la presa del potere di Hitler (1933) lasciò la Germania con l’ incarico di costituire una cellula di opposizione a Oslo in Norvegia, dove l’ anno successivo assunse lo pseudonimo Willy Brandt. Nel 1938 il regime nazista lo espulse e gli revocò la cittadinanza.
Dopo l’ invasione tedesca della Norvegia Brandt fu anche stato arrestato dalla Wehrmacht ma essendo in divisa norvegese non venne riconosciuto, scampando a morte sicura. Una volta liberato si trasferì in Svezia rimanendo a Stoccolma per tutta la durata della guerra. Tornò in Germania solo alla fine del conflitto, come corrispondente di alcuni giornali norvegesi, ed una volta riacquisita la cittadinanza tedesca nel 1948 Willy Brandt divenne il suo nome ufficiale.
Il primo cancelliere socialdemocratico del dopoguerra era un uomo limpidissimo, un antinazista tutto d’ un pezzo che non doveva chiedere perdono di nulla. Lui aveva fatto la sua scelta di campo fin dal 1933 e dunque non aveva alcuna responsabilità per le colpe del regime nazista. Brandt era, in pratica, il Pertini tedesco.
A questo proposito va ricordato anche un celebre articolo pubblicato sullo Spiegel a firma del giornalista Hermann Schreiber, che era a Varsavia quel 7 dicembre 1970. Schreiber, di cui quest’ anno ricorre il centenario, fu non solo giornalista ma anche storico e poi biografo di Brandt a cui dedicò un importante saggio nel 1978.
Ma lasciamo la parola a lui: “Poi si inginocchia, lui che non ne ha necessità ed è lì per tutti coloro che dovrebbero farlo ma non lo fanno, perché non possono o non osano o non possono osare. Poi confessa una colpa di cui non è responsabile e chiede un perdono di cui lui stesso non ha bisogno. E quindi si inginocchia per la Germania”.
»Dann kniet er, der das nicht nötig hat, da für alle, die es nötig haben, aber nicht da knien – weil sie es nicht wagen oder nicht können oder nicht wagen können. Dann bekennt er sich zu einer Schuld, an der er selber nicht zu tragen hat, und bittet um eine Vergebung, derer er selber nicht bedarf. Dann kniet er da für Deutschland.«
Inginocchiandosi a Varsavia quel 7 dicembre Brandt si assumeva le colpe di tutta la nazione, aprendo una fase politica del tutto nuova ed invitando il popolo tedesco, nonostante alcune aspre e prevedibili critiche, ad una riflessione collettiva sulle responsabilità del regime nazista e della Germania tutta. Una testimonianza rara ed in grande anticipo sui tempi.
(1) La domanda precisa era: Brandt doveva inginocchiarsi? Buona parte dello Spiegel uscito il 14 dicembre 1970 era dedicato all’ argomento, con vari articoli e molte foto toccanti.