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Quale federalismo per il futuro?

Federalismo Stato-Regioni, Europa
| 22 Novembre 2020 | CRONACA
Federalidmo

La piantina multicolore dell’Italia divisa in Regioni dalla diversa valenza cromatica è un’arlecchinata poco promettente. Non certo per la decisione del Governo di adeguare i provvedimenti ai livelli locali di pandemia, unica possibilità, al momento, di evitare una chiusura generalizzata. Né tantomeno per nostalgie di centralismo storicamente superato dalla necessità di avvicinare le competenze decisionali ai cittadini ed ai territori. Il problema sta nel fatto che i tanti colori nascondono una pericolosissima confusione istituzionale e sanitaria che l’emergenza covid ha drammaticamente enfatizzato con ricadute non solo sanitarie ma, ormai, anche sociali ed economiche. Un caos che ricorda il “bordello” con cui l’Alighieri definiva, nel celebre incontro con Sordello poeta cantore dell’amor patrio, l’Italia di inizio trecento, divisa in mille Comuni e Signorie in perenne lotta tra loro. E che neppure sarebbe piaciuto, statene certi, al tessitore dell’unità nazionale del risorgimento ottocentesco, il conte non Giuseppe ma Camillo Benso di Cavour che perfettamente intravvedeva le differenze  e diseguaglianze tra le diverse aree geografiche del Paese ponendosi, già allora, il problema di come attenuarle per giungere ad una vera identità nazionale. E se quest’ultima è quella dell’attuale sistema sanitario allora possiamo ben dire, purtroppo, che non gli anni ma addirittura i secoli hanno lasciato sul campo atavici problemi che speravamo appartenessero ad un tempo ormai superato ed invece paiono non finire mai ed addirittura acuirsi.

Le vicende attuali, attualissime, della sanità calabrese ne sono dimostrazione lampante. La riforma del titolo V della Costituzione del 2001 , delegando a Regioni e Province autonome la gestione dei servizi sanitari, puntava ad un federalismo solidale ed invece ha finito per generare una deriva regionalista con 21 differenti sistemi sanitari. Non collaborativi né integrati tra loro e se un cittadino italiano ha la ventura di doversi trasferire da una  Regione all’altra immediatamente perde assistenza di base ed esenzioni ed il tempo necessario per riacquisirli è spesso più che sufficiente per passare a miglior vita. A fronte di un diritto costituzionale che garantisce “universalità ed equità di accesso a tutte le persone” ed alla legge 833/78, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale e conquista sociale di enorme rilievo, che conferma  la “globalità di copertura in base alle esigenze assistenziali dei cittadini” la realtà odierna smentisce clamorosamente i principi fondanti del SSN. Le inaccettabili diseguaglianze regionali, la mancata portabilità dei diritti in tutto il territorio nazionale, la mancata collaborazione, o più spesso, i contrasti prettamente politici, tra i diversi livelli di governo della salute, la mancata valorizzazione della professionalità degli operatori sanitari, testimoniano la crisi dell’attuale impianto federalista.

La modifica del titolo V avrebbe potuto rappresentare una straordinaria opportunità di autonomia organizzativa ma le Regioni non hanno saputo cogliere l’occasione. Soprattutto, ma non solo, al sud mancanza di responsabilità, onestà e capacità hanno provocato disservizi assistenziali di ogni tipo e paurose voragini di bilancio che richiedono continue ricoperture statali con tutto quel che ne consegue in termini di debito pubblico e di pressione fiscale sui contribuenti. E non solo. Con il decentramento di poteri e centri di spesa si sono ulteriormente rafforzate ed aggravate le collusioni tra il potere politico e quello criminale locale.  Le recenti ondate di scandali ed arresti più o meno eccellenti dimostrano la gravità del problema e le preoccupazioni non possono che aumentare alla vigilia dell’arrivo in Italia di sussidi europei dalla valenza miliardaria. La gestione, la destinazione ed il controllo dei soldi  del  Recovery Fund rappresentano per l’attuale Governo una prova difficile e che non può fallire ed è in questo che si parrà , per tornare al sommo poeta, la sua nobilitate. La pandemia è un problema continentale ed è auspicabile che la sua gestione non venga delegata in mille rivoli periferici ma rimanga in poche mani, sicure e ben individuabili. Forse non sono state solo le insufficienti capacità e competenze emerse con il caotico decentramento dei poteri attuato nel nostro paese ad aver mandato in crisi il federalismo all’italiana, ma anche, e forse soprattutto, la valenza globale e planetaria dei problemi da affrontare. Specialmente in ambito sanitario. Proprio l’altro ieri L’OCSE ha reso note le principali cause di morte in Europa: al primo posto il tabagismo con 700.000 decessi all’anno. Potranno mai essere i singoli Stati che lucrano sul monopolio del tabacco a risolvere il problema ? Al secondo posto l’alcoolismo con 290.000 decessi annuali. Saranno sempre i singoli Stati che hanno lucrato a lungo anche sulle bevande alcooliche, ad affrontare seriamente il pericolo? La triste tabella è chiusa dai morti per inquinamento: tra 168.000 e 346.000 morti all’anno.

E’ proprio di questa settimana il richiamo denuncia dell’Unione Europea all’Italia per il persistente mancato rispetto dei limiti di inquinamento da polveri sottili. Analogamente a quanto accade per il problema migratorio, anche in campo sanitario la dimensione dei problemi è tale da rendere  confini e competenze perfino statali ampiamente inadeguati. Se nel recente passato il decentramento federalista regionale poteva apparire come la prospettiva più efficace, v’è da chiedersi se nel mondo globalizzato e sovranazionale  del futuro un simile orientamento manterrà senso e validità. Ed è possibile che un nuovo federalismo tra Stati in ambito continentale possa integrare od addirittura sostituire l’attuale federalismo tra Regioni in ambito nazionale.

TAG: #Covid_19 #coronavirus #COVID19, coronavirus, Costituzione, Federalismo, Governo Conte, Recovery Fund, Regioni, Riforma del titolo V, Titolo V
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