
Ankara non sembra intenzionata a rimanere impassibile nei confronti dei paesi dell’Unione Europea e dei paesi aderenti alla NATO. All’indomani delle operazioni militari intraprese in Siria- grazie al ritiro delle truppe USA -la Turchia porta d’ingresso nel Sud Est asiatico e paese aderente all’alleanza atlantica pare si sia stancata di aspettare le decisioni dell’occidente per quanto riguarda in primo luogo la questione inerente le Milizie Curde dell’YPG e quelle rivendicazioni che la stessa Ankara ha messo in primo piano quando sono stati festeggiati i settant’anni della NATO.
Tutto comincia quando il governo turco dopo i ripensamenti dell’alleanza atlantica sul riconoscimento dei separatisti turchi, minaccia il reinsediamento di due milioni di siriani nell’area nord orientale della Siria e precisamente in una striscia di territorio equivalente a 444 km. Una mossa strategica che vede impegnato il governo di Ankara non solo con la destabilizzazione del popolo curdo e delle sue pretese di indipendenza, ma anche con l’insediamento dei rifugiati siriani in una striscia di territorio siriano che potrebbe diventare una terra di conflitti tra curdi e siriani per gli assetti geopolitici.
La NATO d’altro canto spinta dai timori di un tempo, quando la Truchia kemalista era presente militarmente in Libia e aveva contenziosi con la vicina Grecia, non ha ancora deliberato e ratificato un accordo internazionale che preveda la continuità cooperativa tra Ankara e l’alleanza militare occidentale. Una rottura dei rapporti diplomatici e militari da parte di Ankara con i paesi della NATO?
Eppure Ankara è un importante partner commerciale con l’Europa, ma le mire espansionistiche del Presidente Erdogan e le operazioni militari contro i curdi nel Nord Est della Siria, farebbero pensare ad un espansionismo politico e militare turco che potrebbe in futuro incrinare i rapporti tra Ankara e la NATO (di cui ancora la Turchia ne fa parte).
Le preoccupazioni crescono in occidente, in quanto Ankara ha già stretto alleanze con il governo libico del leader Al Sarraij impegnato nella lotta contro il Generael Haftar che rivendica la sovranità del popolo libico e che ha dalla sua parte il pieno appoggio della Francia di Macron che continua l’operato di un tempo, quando dall’Eliseo Sarkozy decise l’intervento militare per salvaguardare i suoi interessi in Libia.
L’evidenza dei fatti mette in primo piano l’immenso patrimonio energetico della Libia molto gradito dall’Eliseo che contrasta al tavolo diplomatico quelle pretese di Ankara. Il dissenso francese logicamente nasce dal fatto che il Governo turco appoggia l’Isis, sopratutto nelle operazioni contro i curdi.
Eppure il presidente Trump, non mostra irritazione nei confronti del Presidente Erdogan che ha concesso volentieri lo spazio aereo turco alle forze statunitensi nelle operazioni che culminarono con l’uccisione del Califfo Abu Bakr Al Baghdadi , numero uno dello stato islamico. Nel frattempo l’appoggio del governo turco nei confronti del governo libico rafforzerà di più al presenza turca nell’area mediterranea, dove il presidente Erdogan si impegnerà a soccorrere il leader libico Al Sarraij arruolando anche i componenti di quel Califfato Islamico che incombe minaccioso nell’area ritenuta sovrana dal Generale Haftar che si avvale nel frattempo, di consulenti militari russi e dei famosi Mercenari Wagner (una strategia russa utilizzata già in Ucraina per vincere quelle guerre che non può combattere).
La politica estera turca, allo stato attuale è una sfida alla NATO e una forma di protesta dello stesso Erdogan nei confronti dei paesi della NATO ed in particolar di quei paesi come Gran Bretagna e Francia che hanno posto il veto nel dichiarare l’YPG Curdo un gruppo terroristico. Inoltre ci sarebbero da considerare le posizioni della Russia di Putin sempre più lontana da accordi di cooperazione con la NATO(a sua volta preoccupata di rafforzare i sistemi di difesa in Polonia e nell’est europeo rimarcando la minaccia russa) e sempre più impegnata nella partnership con i paesi dell’area medio orientale come la Palestina.
Alla fine dell’anno 2019, l’agenda internazionale si ritrova ad affrontare la prorità dell’anno 2020 che sarebbe l’espansionismo turco, voluto e perseguito dal presidente turco Edogan. Il Sultano di Ankara si è impegnato anche a fornire aiuti alle formazioni militari armate dello stato islamico arrivando fino in Nigeria per rifornire i Jihaddisti dI Boko Haram.
Gli USA e i paesi satelliti dovrebbero ripensare alle strategie diplomatiche per tenersi stretta quella Turchia che geograficamente è la porta di accesso al sud est asiatico e che ha sempre fornito assistenza logistica ai paesi dell’alleanza e che ora spinta dai venti dell’espansionismo politico e militare, mette sotto scacco l’intera alleanza atlantica rivendicando quello che un tempo le era stato negato e successivamente tolto.
Dopo la Prima Guerra Mondiale, gli occhi del mondo videro la fine dell’Impero Ottomano e la nascita della Turchia Kemalista, ma il tempo dei Giovani Turchi è ormai un tempo lontano offuscato da quella politica turca contemporanea che adotta la strategia del ricatto con la solita arma che possiede e che minaccia la stabilità politica nel Nord Est della Siria e adesso nella martoriata Libia, contesa dai due leader Al Sarraij governo riconosciuto in gran parte dalla comunità internazionale occidentale e dal Sovranista (si fa per dire) Generale Haftar, minacciato dalla presenza turca.
Il 15 Luglio del 2016, in una calda e afosa serata, un drappello di militari turchi tentarono un golpe per rovesciare la fantomatica democrazia turca. Tutto si risolse in un nulla di fatto e con un pesante processo di epurazione da parte del governo centrale nelle principali cariche amministrative dello stato.
Un processo rivoluzionario partito dall’interno e che poi ha continuato ad eliminare personaggi scomodi come giornalisti, scrittori, intellettuali molto vicini al politologo Gulen accusato dal governo centrale come il fautore del golpe. Perchè nel 2016 quel golpe non andò in porto? Oggi la Turchia, si nasconde sotto le insegne di una moderna democrazia, rimarcando quelle mire espansionistiche di un tempo lontano e che al giorno d’oggi fanno della Turchia quell’antica minaccia ottomana.