
Ennesimo duro colpo per la premier britannica Theresa May e per la sua strategia di uscita dall’Unione Europea. I negoziati con il leader dell’opposizione, il laburista Jeremy Corbyn, si sono conclusi con un niente di fatto.
In seguito alla terza bocciatura dell’accordo di uscita dall’Ue da parte della Camera dei Comuni, e considerata la tenace opposizione interna al partito da parte dei fautori della hard Brexit, May decise di giocare il tutto per tutto, avviando delle trattative con il partito laburista con lo scopo di trovare una maggioranza parlamentare in grado di approvare il suo accordo e concretizzare, a quasi tre anni dal referendum del 23 giugno 2016, la Brexit.
Dopo oltre un mese di frequenti colloqui, le parti negozianti non hanno potuto fare altro che prendere atto dell’impossibilità di giungere a un accordo condiviso.
Corbyn ha reso pubblica la fine delle trattative con una lettera inviata alla premier. Il leader laburista scrive che “mentre ci sono delle tematiche su cui è stato possibile giungere a un compromesso, non siamo stati in grado di ridurre le importanti distanze che ci separano”. Ma soprattutto, “in modo ancora più determinante – continua Corbyn – la crescente debolezza e instabilità del governo comporta che non vi può essere fiducia sull’applicazione di quanto avremmo potuto accordare”. Insomma, secondo Corbyn, data la precaria posizione politica della premier, ella non è in grado di fare promesse credibili.
Tra i temi che hanno reso difficile il raggiungimento di un accordo bipartisan vi è quello dell’unione doganale permanente. Le vedute di conservatori e laburisti in merito sono molto divergenti. I primi sono contrari, mentre i secondi sarebbero favorevoli.
Nella conclusione della sua lettera, Corbyn conferma che i deputati laburisti continueranno ad opporsi all’accordo negoziato dalla premier perché “crediamo che non salvaguardi i posti di lavoro, la qualità della vita e l’industria manifatturiera britannica”.
La decisione del leader laburista è maturata in seguito alle indiscrezioni, trapelate negli ultimi giorni e poi confermate, secondo cui le dimissioni della premier sarebbero questione di poche settimane.
Ad ogni modo, la scelta di mettere fine alle trattative è stata consensuale. Anche May, pur riconoscendo che i colloqui sono stati costruttivi e che su alcune tematiche è stato possibile giungere a un compromesso, ha confessato che su altre aree non si è riusciti a trovare un’intesa. Secondo la premier, un problema che ha minato il progresso delle trattative è il fatto che non v’è, all’interno del partito laburista, una posizione comune in merito al secondo referendum: alcuni vogliono fare la Brexit, altri vogliono fare un secondo referendum che la annulli.
Per quanto riguarda le indiscrezioni emerse negli ultimi giorni circa le imminenti dimissioni della premier britannica, è stato confermato che il partito conservatore ne annuncerà la data dopo la votazione parlamentare sull’accordo di uscita prevista per inizio giugno.
L’annuncio è stato dato dal deputato conservatore Graham Brady, presidente dell’importante Comitato 1922. Si tratta di un comitato interno al partito conservatore che ha il potere di eleggere il leader del partito, cioè il candidato premier.
Brady e May hanno deciso di incontrarsi dopo la votazione sull’accordo di uscita dall’Ue per decidere assieme la “tabella di marcia” che porterà alle dimissioni della premier.
Dopo aver annunciato che non si sarebbe ricandidata alla guida del partito e dopo aver promesso le sue dimissioni al compimento della Brexit, la debole premier è stata costretta a dover rassegnare le sue dimissioni anzitempo.
May si dimetterà a prescindere dal risultato della quarta votazione. Tuttavia, visto il fallimento delle trattative con i laburisti e considerando che i deputati nord-irlandesi del Dup e molti hard brexiteers conservatori hanno già annunciato che voteranno contro, è probabile che la Camera dei Comuni boccerà l’accordo per la quarta volta.
Ad ogni modo, la carriera di Theresa May è segnata. Anche se avrà successo in parlamento la sua permanenza a Downing Street ha i giorni contati.
Inutile dire che Boris Johnson ha già azzannato la carcassa della premier. L’ex ministro degli esteri si è già detto disponibile a candidarsi alla guida del partito.
Chiunque sarà il prossimo primo ministro britannico dovrà riuscire laddove May, salvo sorprese dell’ultimo momento, ha fallito: portare a compimento la Brexit e mettere fine a una crisi politica senza precedenti che da mesi sta paralizzando il paese.