Diverse logiche compensatorie sembrano aver ispirato le ultime decisioni dell’amministrazione americana nei confronti della Siria e l’Iraq. Se da un lato il Presidente Donald Trump aveva annunciato il ritiro delle proprie truppe dal territorio siriano, nel giro di qualche giorno decide di stringere il proprio dominio su cio’ che resta dell’Iraq in una visita a sorpresa che ha causato ogni tipo di emozione.
Dietro gli applausi e le contestazioni che hanno contraddistinto la decisione del Presidente Americano di comparire in Iraq bypassando i protocolli della politica interna di un Paese che non gli avrebbe di certo negato il permesso della visita c’era il disperato tentativo di contrastare una percezione oramai condivisa nell’Opinione Pubblica mondiale: quella di una Potenza in declino costretta a cedere sempre più spazio ad altre Potenze con mire ed obiettivi ben precisi nella Regione.
Precedentemente l’abbandono degli Stati Uniti alla Siria ha lasciato l’amaro in bocca ad un settore dell’opinione pubblica per la quale l’ISIS non rappresentava più il vero problema ma la ragione su cui legittimare la permanenza degli americani in un territorio dove ci sono molteplici interessi in gioco. Logicamente, tale decisione lascia dietro di sé una scia di questioni irrisolte: i curdi restano un’altra volta abbandonati a sé stessi di fronte ad Erdogan e l’occupazione russo-iraniana a Damasco rimane incontrastata. Per tale motivo, la visita di Trump a Baghdad simboleggia, in politica interna, un tentativo di rassicurazione di fronte alla propria opinione pubblica e, sul piano internazionale, circoscrive la propria sfera d’influenza in Iraq tracciandone il confine con la Siria, una sfera d’influenza appartenente all’asse Mosca-Ankara-Teheran.
La fine della presenza statunitense in Siria e la successiva visita di Trump in Iraq sono eventi che confermano cio’ che era già nei fatti: l’Iraq agli Stati Uniti e la Siria a Mosca. Nulla di nuovo, si tratta semplicemente di una spartizione delle Sfere d’Influenza per garantire l’Equilibrio tra le Potenze che hanno il Potere di far valere i propri interessi nella Regione.
Non ci resta che riconoscere la dose di realismo applicata da Donald Trump nell’affermare durante la sua visita a Baghdad “Gli USA non saranno più i gendarmi del Mondo” e, anche se la visione di un Mondo diviso in Buoni e Cattivi prevale, Washington ha capito che il ruolo egemone di “gendarmi del mondo” finisce per avere più costi che vantaggi laddove lo scenario politico interno è tutt’altro che rose e fiori.
Quanto accaduto in Medioriente è il segnale di un modus operandi che si conferma nella Politica Mondiale in cui l’egemonia statunitense inizia a cedere a un Equilibrio di Potenze sempre più affermato nel quale, pur essendo ancora i primi, non si puo’ né si potrà prescindere di sedersi al tavolo dei negoziati prima di intervenire altrove.