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Stati Uniti – Iran: breve storia di un odio reciproco

| 31 Agosto 2018 | ESTERI

“L’imbroglio è nel dna iraniano”. Così affermò Wendy Sherman, sottosegretario agli affari politici del Dipartimento di Stato davanti alla commissione esteri del Senato americano il 3 ottobre 2013. Undici anni prima il presidente George W. Bush, durante il suo discorso sullo Stato dell’Unione pronunciato il 22 gennaio 2002, individuò nell’Iran uno dei tre pilastri del cosiddetto “asse del male” insieme a Nord Corea ed Iraq. Dal canto suo, il presidente Donald Trump non ha risparmiato minacce alla Repubblica Islamica usando parole di fuoco nei suoi soliti post su Twitter. Tuttavia, anche gli iraniani non vanno sul leggero quando parlano degli Stati Uniti. Infatti, la Guida Suprema Ruhollah Khomeini bollò l’America con l’appellativo di “Grande Satana”.

Tra Stati Uniti ed Iran scorre veleno. Un profondo odio reciproco la cui origine risiede, ovviamente, nella storia. Il sentimento di inimicizia degli iraniani nei confronti degli Stati Uniti iniziò a manifestarsi 65 anni fa, in seguito al rovesciamento del governo democraticamente eletto di Mohammad Mossadeq con un colpo di stato orchestrato dalla Cia e dall’MI6 (i servizi segreti britannici) nell’agosto 1953. Il primo ministro Mossadeq era intenzionato a ridurre la presenza delle compagnie straniere nell’industria petrolifera iraniana. All’epoca le ricchezze energetiche del paese erano sfruttate dall’Anglo-Iranian Oil Company (Aioc), controllata per il 52 % dal governo britannico. Quando il parlamento iraniano (Majlis) decise, su iniziativa del primo ministro Mossaqed, di nazionalizzare il petrolio, la tensione tra Regno Unito ed Iran crebbe rapidamente. Infine, utilizzando come pretesto il supporto del partito comunista iraniano (Tudeh) al governo Mossadeq, la Cia riuscì a convincere il presidente Eisenhower a mettere in scena un colpo di stato che fu pianificato e finanziato dai servizi segreti americani e britannici. Mossadeq venne arrestato e sostituito dal generale Mohammad Fazlollah Zahedi e lo scià Mohammad Reza Pahlavi, filo-americano, tornò sul trono.

L’ideazione e l’esecuzione del colpo di stato del 1953 portarono gli iraniani a vedere l’America sotto una luce negativa. Gli Stati Uniti si rivelarono l’ennesima potenza straniera che interferiva negli affari iraniani per soddisfare i propri interessi, come Regno Unito e Russia fecero già a partire dal XIX secolo. Ma l’anno chiave che serve per comprendere la natura del rapporto tra Iran e Stati Uniti è il 1979. Quell’anno segna una profonda cesura nelle relazioni tra i due paesi. La rivoluzione iraniana, guidata dall’ayatollah Ruhollah Khomeini, decretò la fine della monarchia filo-americana dello scià e l’instaurazione dell’attuale Repubblica Islamica. Per gli Stati Uniti tale evento fu uno shock. L’Iran nel giro di pochissimo tempo passò dall’essere un paese amico e cliente, nonché pilastro fondamentale della politica estera in Medio Oriente, all’aperta ostilità nei confronti dell’America. Fu proprio in seguito alla rivoluzione che Khomeini, legittimatosi grazie a una retorica anti-imperialista che rifiutava qualsiasi tipo di ingerenza straniera, definì gli Stati Uniti “Grande Satana”, a cui faceva seguito il “Piccolo Satana” ovvero Israele.

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Per gli Stati Uniti la rivoluzione iraniana fu un grave smacco strategico, in quanto persero un alleato fondamentale nella regione. Ma al danno si aggiunse l’umiliazione. Nel novembre 1979 le relazioni diplomatiche tra Iran e Stati Uniti precipitarono in modo irreversibile quando un gruppo di studenti universitari rivoluzionari fece irruzione nell’ambasciata americana di Teheran, occupò l’edificio e prese in ostaggio i 52 funzionari americani. La crisi degli ostaggi durò 444 giorni, dal novembre 1979 al gennaio 1981, e sedimentò presso la classe politica e l’opinione pubblica americane un sentimento di vero e proprio odio nei confronti dell’Iran. I falliti tentativi di liberazione degli ostaggi pianificati dall’amministrazione americana causarono un danno d’immagine per il presidente Jimmy Carter il quale perse le elezioni del 1980 in favore del repubblicano Ronald Reagan, mentre in Iran aumentarono il consenso nei confronti dell’ayatollah Khomeini e cementificarono l’ostilità dell’opinione pubblica nei confronti dell’America.

La crisi degli ostaggi fu una cocente umiliazione per gli americani. Il sentimento che gli statunitensi provano nei confronti di quella vicenda è ben descritto da Kenneth Pollack, esperto di Medio Oriente, già analista per la Cia ed ex membro del Consiglio per la Sicurezza Nazionale. “La crisi degli ostaggi ha lasciato una terribile cicatrice nella psiche americana. È un episodio così frustrante che la maggior parte di noi ha semplicemente preferito dimenticarlo, ignorarlo e minimizzarlo il più possibile. Tuttavia, pochi americani hanno mai perdonato gli iraniani (…) Non ne parliamo mai apertamente, ma la rabbia residua che così tanti americani provano nei confronti dell’Iran per quei 444 giorni ha caratterizzato ogni decisione al riguardo da quel momento”.

Nel 1980 l’esistenza della Repubblica Islamica venne messa in seria discussione dall’invasione militare irachena. Così scoppio la guerra Iran-Iraq, durata dal settembre 1980 all’agosto 1988 e che causò quasi un milione di morti, la quale vide il coinvolgimento americano attraverso il rifornimento di armi ed equipaggiamenti all’Iraq di Saddam Hussein. In questa guerra l’Iran combatteva praticamente da solo visto che l’Iraq, oltre ad essere supportato materialmente dagli Stati Uniti, poteva contare anche sull’appoggio di numerosi Stati arabi sunniti. Tra America ed Iran ci furono pure delle schermaglie nel Golfo Persico e  il 3 luglio 1988 un incrociatore della marina militare americana abbatté con un missile il volo 655 della Iran Air, diretto a Dubai, causando la morte di tutti i 290 passeggeri, inclusi 66 bambini.

In realtà, durante la guerra del 1980-88, gli Stati Uniti rifornirono anche l’Iran. Fu il controverso scandalo Iran-Contra, detto anche Irangate, scoppiato durante il secondo mandato del presidente Reagan e rivelato da un settimanale libanese nel novembre 1986. In poche parole Washington, violando l’embargo imposto dal presidente Carter, vendette armi all’Iran in cambio del rilascio di alcuni ostaggi americani tenuti prigionieri da Hezbollah e con i proventi della vendita di armi finanziò i Contras (da qui il nome dello scandalo), i ribelli nicaraguensi di destra anti-sandinisti che scelsero la lotta armata per opporsi al governo socialista.

L’odio reciproco che lega americani ed iraniani ha radici profonde che risiedono negli eventi storici degli ultimi 65 anni. Tale sentimento di disprezzo ed inimicizia, ancora vivo tutt’oggi, è in parte il motivo per cui Stati Uniti ed Iran non riescono ad intendersi e non si fidano l’uno dell’altro, ed è anche una delle cause della perenne instabilità del Medio Oriente, dove Washington e Teheran sono due degli attori principali.

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