Un Paese irrequieto, disarticolato, percorso da pulsioni contraddittore, si appresta a tornare alle urne in tempi ravvicinati, senza che si intraveda una possibile soluzione al problema della sua governabilità. Tutte le diatribe tra gli schieramenti ed all’interno degli stessi rispecchiano i malumori e le incertezze dei cittadini, molti dei quali si incolonnano acriticamente nei cortei guidati da incantantori di serpenti, mangiafuoco e suonatori di flauti magici, alla ricerca di velleitarie soluzioni ai loro urticanti drammi esistenziali.
Alcuni di questi costruttori di felicità promettono mirabolanti detassazioni, ripristino della purezza etnica e religiosa, difesa strenua dei beni prodotti sull’italico suolo con rigide barriere doganali, fuoruscita da organismi comunitari e monete uniche.
Altri favoleggiano di società multicolori, sognano ulteriori commistioni, emulsioni ed integrazioni tra popoli e razze, in un’Italia plurale, aperta ed accogliente, senza limiti ed egoismi identitari.
E propongono imposte di ogni genere per togliere ai ricchi e dare ai poveri, gratis, scuola, sanità, sussidi, case e pensioni, perché gli odiosi abissi tra chi tanto ha e chi soffre vanno comunque colmati, a prescindere dall’attuale possibilità di farlo.
Ci sono poi gli alternativi al sistema, gli stigmatizzato delle caste, con la loro democrazia digitale e la declaratoria di una purezza che sgorga direttamente dal popolo, secondo i quali il male alberga in chi ci rappresenta inadeguatamente.
Mi sento malinconicamente distante da tutti questi mondi e non so dirvi dove stiamo andando, sempre convinto che la ricerca del meglio passi attraverso un’analisi dell’esistente non viziata da faziosità.