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Lettera di un medico cattolico sul tema eutanasia

| 27 Settembre 2021 | L'OPINIONE

Egregio direttore, Spettabile Redazione,

questa lettera per esprimere, da medico, un modestissimo parere su uno dei temi circa i quali la nostra società si sta confrontando: il Referendum Eutanasia Legale. Spero possa aiutare a far riflettere i lettori. In data 3 Settembre è stato scritto che “la firma di Giorgio Gori si aggiunge così alle 8 mila raccolte dal Comitato Promotore bergamasco per il referendum sull’eutanasia.” Ottomila firme a Bergamo per un referendum sull’eutanasia in una provincia di oltre un milione di persone. Numero destinato senza dubbio a crescere dato che la possibilità di firmare si prolunga fino a fine del mese. Perfino Cappato era stupito da tal risultato. Eutanasia: tema complesso, da sempre divisivo, mai risolto, mai davvero compreso fino in fondo, sempre bistrattato e demagogicamente semplificato. Tema su cui prima o poi si legifererà: male, date le premesse. Da bergamasco la prima osservazione alla notizia è questa: dove sono finiti i valori di solidarietà, di vicinanza, di assistenza che hanno sempre contraddistinto questa terra? E’ nei fatti più agevole favorire una buona morte, una buona dipartenza piuttosto che essere di aiuto nella sofferenza? “Ultimamente, pur ammirandoli sempre per la loro capacità di agire, è come se avessero perso un po’ di memoria dei nostri padri che avevano come primo insegnamento il rispetto degli altri, il valore del soccorso vicendevole e della sobrietà” direbbe Ermanno Olmi il regista di origine bergamasca che è stato capace di raccontare la vera essenza delle nostre terre. Pare davvero che la brace dei bergamaschi sia molto molto indebolita. Si prospetta tanta cenere, per restare in tema. Da medico la seconda osservazione, che è a monte di discorsi filosofici e di credo personale: siamo davvero sicuri che l’eutanasia sia una scelta? Ovvero: il paziente può scegliere, veramente? Mi spiego: scegliere innanzitutto vuol dire avere almeno due opzioni a disposizione di cui si ha consapevolezza e di cui si conoscono gli scenari in gioco. Siamo sicuri che ogni paziente, ogni parente del malato, possa davvero scegliere tra opzioni alla pari in situazioni cliniche molto complesse che possono portare a dolore cronico, a perdita della coscienza e della capacità di intendere e volere del malato in questione? Fintanto che si magnificano continuamente casi limite e non si valuta nemmeno una pallida possibilità di contraddittorio in termini di clinica medica, dubito seriamente che i cittadini possano formarsi un’idea chiara e precisa in merito. In definitiva: io paziente con malattie degenerative, con gravi cerebrolesioni acquisite, ad esempio, ho la concreta possibilità di ricevere delle cure, sostegno, strutture, aiuto economico in modo tale da mantenere un livello dignitoso di esistenza versus la possibilità di scegliere di interrompere le cure? Come potete leggere nulla di ideologico: ho almeno due scelte? Posso scegliere? Ho capito cosa comporta una e l’altra? Direi il minimo in una cosiddetta società civile fosse solo per il fatto che è ormai da decenni che si insiste sulla autodeterminazione, libera scelta, io decido per me…etc. Voglio inoltre porre l’attenzione su un altro aspetto. Due prove economiche complesse ci hanno colpito: 2007 e 2020. Cito testualmente il Rapporto Annuale 2021, La situazione del Paese, ISTAT: “L’economia italiana nel 2020 si è contratta dell’8,9 % – una caduta di ampiezza senza precedenti dalla Seconda guerra mondiale – che, per la scarsa performance dell’ultimo ventennio, ha riportato il Pil al livello del 1998. La recessione è da attribuire soprattutto alla caduta verticale della domanda interna: i consumi di famiglie e Istituzioni sociali private al loro servizio (ISP) e gli investimenti lordi sono diminuiti del 10,7 e del 10,8 %, rispettivamente. I consumi collettivi, cresciuti dell’1,6 %, hanno attenuato la flessione della domanda interna, ma solo per 3 decimi di punto. La contrazione delle esportazioni di beni e, soprattutto, di quelle di servizi (nel complesso il -13,8 %) è stata solo parzialmente compensata dalla contestuale riduzione delle importazioni (-12,6 %) e la domanda estera netta ha sottratto ulteriori 0,7 punti percentuali all’andamento del Pil.” E ancora: “Nel 2020, si contano oltre 2 milioni di famiglie in povertà assoluta, con un’incidenza pari al 7,7 % (dal 6,4 del 2019), che includono oltre 5,6 milioni di individui (9,4 % dal 7,7 del 2019).” Inoltre: “L’emergenza sanitaria è intervenuta in un periodo di particolare debolezza del nostro Servizio Sanitario Nazionale, dovuta soprattutto ai molti interventi che nel corso dell’ultimo decennio hanno ridotto le risorse disponibili. La conseguenza è stato un calo significativo delle prestazioni mediche durante la pandemia, che segue la diminuzione osservata negli anni precedenti, riflesso dei tagli alle risorse economiche, ai posti letto e al personale sanitario che hanno messo sotto pressione la sanità territoriale”. Non cito per carità di Patria i tempi di attesa di alcune visite specialistiche, non riporto i tempi di attesa nei pronto soccorsi. Tempi di attesa per visite di persone che non sono in condizioni di vivere o morire sia chiaro. Facciamo fatica sulla normale gestione della sanità figuriamoci sull’eutanasia. Francamente, data la congiuntura economica e sociale (da cui non ne usciremo a breve) non penso di poter né offrire come medico né disporre come paziente di due scelte. L’atto supremo d’amore è considerato dar la morte al malato. Non ho studiato e non ho giurato per questo. Ultimo spunto di riflessione direttamente da Jacques Attali, mentore dell’attuale presidente francese Macron: “In primo luogo credo che nella logica stessa del sistema industriale nel quale ci troviamo il prolungamento della durata della vita non è più un obiettivo auspicato dalla logica del potere. Per quale motivo? Perché questo era perfetto soltanto finché si trattava di prolungare la speranza di vita allo scopo di raggiungere la soglia massima di redditività della macchina umana. Ma dal momento in cui si superano i 60-65 anni l’uomo vive più a lungo di quanto non produca e allora costa caro alla società. Per questo credo che nella logica stessa della società industriale l’obiettivo non sarà più di prolungare la speranza di vita ma di fare in modo che all’interno di una di una determinata durata di vita l’uomo viva nella maniera migliore possibile, ma in maniera tale che le spese sanitarie siano ridotte il più possibile in termini di costi per la collettività. Emerge allora un nuovo criterio di speranza di vita: quello del valore di un sistema sanitario funzione non del prolungamento della speranza di vita ma del numero di anni senza malattia e in particolare senza ospedalizzazione. In effetti dal punto di vista della società è nettamente preferibile che la macchina umana si arresti brutalmente piuttosto che deteriorarsi progressivamente. È perfettamente chiaro se pensiamo che i due terzi delle spese sanitarie sono concentrate negli ultimi mesi di vita. Allo stesso modo, mettendo da parte il cinismo, le spese sanitarie non raggiungerebbero un terzo del livello attuale (175 miliardi di franchi nel 1979) se gli individui fossero tutti morti brutalmente negli incidenti automobilistici. Così dobbiamo riconoscere che la logica non risiede più nell’aumento della speranza di vita ma in quella della durata di vita senza malattia”.

Gran parlare di libertà di scelta però alla fine pare si prospetti un percorso obbligato per chi abbia davvero necessità di vero aiuto.

TAG: Eutanasia
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