Il 29 giugno festa di San Pietro e Paolo, patroni di Roma, ricorre anche l’anniversario della nascita di Giacomo Leopardi, nato a Recanati il 29 del 1798 e spento a Napoli il 14 giugno del 1837, forse per edema polmonare.
Il grande poeta, scrittore, di origine nobile è figlio del Conte Monaldo e della marchesa Adelaide Antici. La madre appare particolarmente severa e sembra che Leopardi anche per una passeggiata, dovesse chiederlo una settimana prima.
Leopardi, vive un’esistenza tormentata, di solitudine e amarezza verso un mondo avverso, diventando uno dei massimi esponenti del Romanticismo. Il padre, filosofo e politico, ha una ricca biblioteca, dove Leopardi si rifugia e appaga la sua fame di sapere, nutrendo e forgiando i pensieri, ispirato dalle idee illuministe.
Studioso appassionato, a undici anni traduce le Odi di Orazio e a quattordici scrive due tragedie. Un anno dopo compone la “Storia dell’astronomia” e impara da solo il latino, il greco antico e l’ebraico. Forse preferisce isolarsi tra i libri, piuttosto che aspettare l’approvazione della madre per una boccata d’aria.
Il poeta comunque, non si mostra dimesso come appare nell’immaginario curvo e indifeso, ma spesso ha un atteggiamento sprezzante verso chi lo circonda. Tra i pochi amici che lo accompagnano Giordani, Stella e Ranieri. E secondo lo studioso Giovanni Dall’Orto, il rapporto tra Antonio Ranieri e Leopardi non è solo di amicizia e si parla di una presunta omosessualità del poeta.
Leopardi inoltre, ha molte fobie, come quella dell’acqua, per questo motivo probabilmente tende a farne poco uso. Non tollera il nome Teresa e soprannomina Silvia, la sua amata Teresa Fattorini.
Vive tormentato dai conflitti interiori, a cui si aggiungono i problemi fisici, forse dovuti alla tubercolosi ossea, che gli provocano la gobba. E che fanno maturare in lui una personale filosofia e visione dell’esistenza, con il noto pessimismo storico (1818-1822) e la natura maligna (1824-1835) e punitiva. Un malessere espresso nei versi lirici e civili con circa 240 opere come i Canti, Il passero solitario, La sera del dì di festa, Alla luna, A Silvia, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, Il sabato del villaggio, La ginestra, L’infinito.
Vanno ricordate anche le Operette morali e lo Zibaldone di pensieri e in quest’ultima raccolta del 1817-1832, che Leopardi riporta riflessioni varie, come Il giardino della sofferenza, La felicità e la noia e Tutto è male. Lo Zibaldone rappresenta la somma dei suoi pensieri, le idee, i fatti e le opere.
Il diario è composto da circa 4526 pagine e tra queste riflessioni profonde ci sono anche appunti culinari, del grande genio e filologo, ghiotto di dolci, cioccolata, tarallucci zuccherati, frittelle, gelati, granite e confetti di Sulmona. Si racconta anche della particolare abitudine di pranzare a mezzanotte e vengono citate nelle pagine fino a 49 piatti preferiti. Mentre manda “A morte la minestrina”.
Ma il cibo non basta a saziare la sua fame esistenziale e inveisce contro la natura maligna, che crea e sistematicamente distrugge, incurante del destino dell’uomo, ma solo del ciclo naturale e meccanicistico della natura.
Tra le tante curiosità sembra che si lavasse poco e un aneddoto racconta, che durante il suo viaggio a Roma nel 1822, venga rifiutato persino dalle prostitute, per l’aspetto poco piacevole e soprattutto maleodorante, infestato anche di pidocchi. L’igiene comunque in quel periodo non è certo una pratica molto usata e gli aristocratici non fanno differenza. Si veste male e lava di rado, tanto che la biancheria intima è soggetta a un prelavaggio prima di essere affidata alla lavandaia.
Poco fortunato in amore, si consuma in sentimenti tristi e univoci, che probabilmente incidono sul suo pessimismo, inizialmente individuale, poi storico, fino a diventare cosmico. Definiti forse all’apice delle sue solitudini e delusioni. Chissà forse con qualche bagno in più, sarebbe andata meglio.
Comunque, il nome dato all’opera, lo Zibaldone, indica proprio l’insieme di cose diverse. Una sintesi della sua vita e l’espressione più intima della sua anima.
Tutto è male esprime il pessimismo sulla condizione umana. Pensieri utili per chi come lui si riconosce distante da un mondo feroce e soccombe alla sua forza in un muto dolore.
L’illusione di avvicinarsi al suo pensiero e condividere per un attimo una generale ostilità chiamata vita.
La speranza di elevare l’uomo verso un’ipotetica immortalità attraverso una poesia dissacrante e lucida nelle parole di un genio. Un ultimo grido che tuona nell’universo prima dell’oblio, in un’interpretazione vera, sofferta e inerme dell’animo umano.
Buon Compleanno Leopardi, ovunque tu sia, qui “Tutto è male!”
“Tutto è male. Cioè tutto quello che è, è male; che ciascuna cosa esista è un male; ciascuna cosa esiste per fin di male; l’esistenza è un male e ordinata al male; il fine dell’universo è il male; l’ordine e lo stato, le leggi, l’andamento naturale dell’universo non sono altro che male, né diretti ad altro che al male.
Non v’è altro bene che il non essere; non v’ha altro di buono che quel che non è; le cose che non son cose: tutte le cose sono cattive. Il tutto esistente; il complesso dei tanti mondi che esistono; l’universo; non è che un neo, un bruscolo in metafisica. L’esistenza, per sua natura ed essenza propria e generale, è un’imperfezione, un’irregolarità, una mostruosità”.