
Prosegue il pressing dei sindacati sulla riforma delle pensioni in vista del termine di Quota 100, ossia i pensionamenti anticipati con almeno 62 anni di età e 38 di contributi voluti, con una sperimentale triennale, dal primo governo Conte. L’obiettivo è attutire l’impatto dello “scalone“ che si prospetta tra fine 2021 e inizio 2022.
Una nuova flessibilità in uscita a partire dai 62 anni o con 41 anni di contributi a prescindere dall’età, corsie preferenziali per specifiche categorie di lavoratori (ad esempio chi fa attività gravose e usuranti), assegno di garanzia per i giovani e Opzione donna: sono questi i principali nodi su cui i sindacati chiedono un confronto con il governo.
Il 4 maggio Cgil, Cisl e Uil hanno lanciato l’iniziativa “Cambiare le pensioni adesso” per chiedere un tavolo di discussione con il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Andrea Orlando. Il segretario generale della Cgil Maurizio Landini ha spiegato che il tema delle pensioni “non è più rinviabile. La riforma Monti-Fornero compie 10 anni e rende evidente la necessità di intervenire”.
Sulla stessa linea il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra, che ha evidenziato come le pensioni non siano “un lusso”, ma “un giusto riconoscimento dopo una vita di lavoro. Pensare che dopo la fine di Quota 100” sia possibile tornare “al modello Monti-Fornero” significa “non essere sintonizzati sulla realtà del Paese, sulla vita reale delle persone”.
Gli fa eco il segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri, secondo cui “la sostenibilità economica della legge Fornero non guarda in faccia le diverse esigenze e situazioni: un errore drammatico che abbiamo pagato in questi anni”. Per il dopo-Quota 100, ecco nel dettaglio le proposte dei sindacati.
Come accennato, Cgil, Cisl e Uil chiedono di superare la legge Fornero a partire dal 2022, introducendo una flessibilità in uscita dai 62 anni di età o con 41 anni di contributi a prescindere dall’età (la cosiddetta Quota 41). In questo dibattito si è inserito anche il presidente dell’Inps Pasquale Tridico.
L’idea di Tridico è quella di “permettere a 62-63 anni di uscire con la parte puramente contributiva” e poi di ottenere “la parte retributiva al raggiungimento dell’età ordinaria a 67 anni”. Una formula che sarebbe “neutra in termini di impatto fiscale e garantirebbe una certa flessibilità”, e che “si potrebbe legare anche a forme di permanenza nel mercato del lavoro”.
Per quanto riguarda i lavoratori fragili, ossia con particolari patologie, potrebbe esserci un percorso di pensionamento agevolato e flessibile (magari con Quota relativamente bassa). Lo stesso Tridico ha proposto “una misura per gli immunodepressi oncologici. A 62-63 anni si potrebbe prevedere uno scivolo aggiuntivo rispetto all’Ape sociale”.
I sindacati vorrebbero poi che sia riconosciuta la diversa gravosità dei lavori. Vengono definite “usuranti” quelle mansioni che determinano un invecchiamento precoce, come l’attività continuativa notturna, alle catene di montaggio o in celle frigorifere. Per questi lavoratori, i percorsi per uscire anticipatamente potrebbero essere più flessibili.
Potrebbe diventare quasi strutturale l’Opzione donna, che permette ancora per tre anni alle lavoratrici di andare in pensione a 58 anni (59 se “autonome”) con 35 anni di contributi, ma con il calcolo interamente contributivo dell’assegno.
Come spiega il “Corriere della Sera”, i sindacati chiedono anche un assegno di garanzia per i giovani, misura già oggetto di studio dell’Inps in riferimento ai giovani con carriere discontinue. Si profilerebbe dunque un “sostegno strutturale per gli assegni di pensione bassi”.
Un’altra idea è favorire la “staffetta generazionale”, rafforzando i contratti d’espansione che permettono di mandare in pensione i lavoratori fino a 5 anni prima della soglia dei 67 anni, con contemporanea assunzione di giovani. Tale strumento potrebbe essere affiancato da un’isopensione (ossia l’esodo dei lavoratori anziani) con meno vincoli per le aziende.