
Il Covid con le molteplici costrizioni, accompagnate da un radicale cambiamento di vita, sta mettendo a dura prova il sistema nervoso delle persone. Uno studio del laboratorio Laserc (Epidemiologia e Ricerca Clinica), coordinato dalla psicologa Simona Di Santo, nell’ambito dell’attività di ricerca in neuroscienze e neuroriabilitazione della Fondazione Santa Lucia Irccs di Roma, pubblicato su Frontiers in Psychiatry, parla chiaro: la quarantena riduce la possibilità di fare attività fisiche, sociali e cognitive, modifica la dieta e aumenta la quota di tempo trascorsa ‘passivamente’.
Comportamenti, dunque, che mettono a rischio la salute degli anziani, a tal punto che per chi ha il Mild Cognitive Impairment (il lieve deterioramento cognitivo) e il Declino cognitivo soggettivo, possono aumentare la possibilità di sviluppare forme di demenza. Tra le 128 persone over-60 che hanno partecipato allo studio, è stato notato che il lockdown ha determinato cambiamenti rilevanti negli stili di vita: oltre 1 persona su 3 ha ridotto i livelli di attività fisica e il 70% ha riferito un aumento della sedentarietà.
Circa 1 anziano su 3 ha riferito cambiamenti perlopiù meno salutari nella propria dieta e il 35% ha riferito un aumento del peso. L’intero campione ha lamentato una ovvia diminuzione drastica delle relazioni sociali, anche se l’11% dei partecipanti ha riferito di essere ancora impegnato in attività sociali come l’incontro con altre persone nel rispetto della distanza di sicurezza o di partecipare ad incontri di gruppo su piattaforme online.
Circa 1 persona su 5 ha ridotto anche i comportamenti attivi, come cucire, ricamare, lavorare a maglia, dedicarsi ad attività artistiche, bricolage o giardinaggio. Per converso, il 60% ha aumentato le attività ricreative passive come guardare la tv o ascoltare la radio. Il 68% riferisce che le notizie sul coronavirus che hanno appreso dai media (Tv, radio, giornali, social network e altri), hanno avuto una grande/moderata influenza sul suo stato d’animo.
La situazione non risparmia nemmeno i giovani, con patologie diverse, ma sempre con dati preoccupanti. Aumentano i casi di disturbi alimentari, in questo periodo di emergenza coronavirus, “addirittura del 30% così come purtroppo della stessa percentuale è aumentato il tasso di mortalità”: sono i dati forniti in una intervista al Messaggero Umbria da Laura Dalla Ragione, direttore del Centro disturbi del comportamento alimentare di Todi.
Dalla Ragione parla di “bollettino di guerra” dopo che nelle ultime ore ci sono stati due decessi (non in Umbria) di pazienti con “Dca” (Disturbi del comportamento alimentare). “Ci sono – spiega – regioni in cui si muore di più e altre in cui si muore meno dipende dai servizi, se in un territorio ci sono o meno, perché di anoressia non si muore è una patologia che si cura e da cui si può guarire ma si muore se mancano le cure”.
“I casi sono sempre stati spalmati in tutte le regioni con un incidenza che è del 10% delle giovani tra i 12 e i 25 anni. Un numero – osserva Dalla Ragione – già sottostimato e che non prende in considerazione i maschi, ma che comunque in questo 2020 ha visto una crescita incredibile. Durante il lockdown sono aumentati i casi di esordi della malattia e si sono aggravati quelli preesistenti: gli effetti della pandemia sono dannosi anche qui con ragazzini sempre più piccoli che soffrono di questi disturbi anche di 11 anni. I Dca hanno origini traumatiche e la situazione legata alla pandemia è certamente un trauma per questi ragazzini che si sono trovati soli senza amici in una situazione di angoscia e magari di tensioni familiari dovute al lockdown. Sono quindi aumentate le richieste di ricoveri di minori di 14 anni” e il problema in questo momento è anche quello della della difficoltà di reperire i posti.