Nei giorni scorsi la Migros (Migros-Genossenschaft) la seconda catena di grande distribuzione della Svizzera, ha preso una decisione. L’azienda ha comunicato con un tweet, poi seguito da altri, di aver ritirato un prodotto, uno in particolare.
Si chiama Mohrenköpfe, teste di moro, ed è un cioccolatino croccante ripieno di una mousse e con una base di wafer. Il tweet della Migros suona così: “Abbiamo deciso di rimuovere il prodotto dalla gamma. L’attuale dibattito ci ha spinto a rivalutare la situazione. Siamo consapevoli che questa decisione porterà anche a discussioni.”
In questi tempi social tutto nasce da un altro tweet, postato da un cliente e successivamente rimosso, in cui si leggeva che “Il nome del prodotto ha una connotazione estremamente razzista e non politicamente corretta”.
Ma non è finita qui, perché come precisato in altri tweet successivi la decisione non riguarda tanto il prodotto come tale, quanto un certo produttore – la Dubler – che ha mantenuto il discusso nome originale Mohrenköpfe. Anche se tali cioccolatini erano in vendita solo in due supermercati di Zurigo la Migros non ha potuto dare un nome diverso a un prodotto altrui e per evitare polemiche li ha ritirati dai banchi dei negozi, ma – attenzione! – non dalla vendita on line.
Infatti nel sito della Migros, cercando il cioccolato, questi dolci restano acquistabili con una nuova denominazione. Si chiamano Kiss, ma la pagina dedicata ha mantenuto il nome inequivocabile di “Moretti”.
https://prodotti.migros.ch/assortimento/supermercato/alimentari/cioccolato/cioccolato/moretti
Insomma, non ci sono più le teste di moro ma i Moretti ci sono tutti ed i cioccolatini escono dolcemente dalla porta per rientrare dalla finestra. L’operazione come si vede è un capolavoro di diplomazia.
L’uso di nomi ed immagini esotiche per vendere un prodotto non è cosa nuova, anzi. Un tempo era comunissimo anche in Italia, e non solo per i dolci.
Ad esempio l’antica pasticceria Digerini e Marinai di Firenze, quella dei famosi biscotti Bimbi d’Italia nella scatola di latta azzurra, produceva la Cioccolata fantasia al liquore e per pubblicizzarla usava un’immagine suggestiva. Sul coperchio della scatola era raffigurato un giardino fiorito in cui un uomo di colore con fez e baffetto, elegantemente vestito con i pantaloni a righe e la giacca rossa, si avvicinava ad una cameriera per offrirle un cioccolatino. Lei lo ricambiava rivolgendogli un sorriso e porgendogli gentilmente un bicchierino di cognac.
Curiosamente questa famosa pasticceria fiorentina, ormai chiusa da decenni, produceva anche una torta di wafer al cioccolato rotonda ed alta che si chiamava Torta Marinai. Si trattava di un dolce assai simile ai Moretti o Kiss, ma con un nome assolutamente neutro quando anche i tempi – e le sensibilità – erano ben diversi.
Ma il problema delle denominazioni controverse non si ferma ai dolci, anzi. In più occasioni, non solo in Italia, ci sono state varie questioni in tema di toponomastica.
Un caso particolarissimo è quello della Mohrenstrasse, una via del centro di Berlino, quartiere Mitte, che in italiano significa proprio Via del Moro. Questa strada è molto antica e ospita numerosi edifici dell’epoca guglielmina oltre all’omonima stazione della metropolitana U-Bahn 2, circondata da un’aura di mistero.
Secondo molti il sfarzoso rivestimento di marmo rosso che riveste le pareti e le colonne di questa stazione, distrutta nelle ultime fasi della Seconda Guerra Mondiale e ricostruita nei primissimi anni 50, ha un importante valore storico. Il marmo rosso infatti sarebbe stato recuperato dalle rovine dell’ex quartier generale di Hitler, la vicina Cancelleria progettata da Albert Speer, l’architetto personale del Fùhrer che – prima di essere condannato a vent’anni di carcere a Norimberga – fu anche ministro del Reich tedesco.
Ora sappiamo che è una leggenda e che il marmo, come confermato da accurate indagini petrografiche, viene dalla Turingia. Per la verità lo aveva detto anche il quotidiano Neues Deutschland del 19 agosto 1950, ma in molti non ci credono ancora.
La Mohrenstrasse, di origine antica, viene già menzionata nella mappa della città di Berlino del 1710 anche se il nome è sicuramente anteriore. L’origine del toponimo resta controversa, e ci sono varie tesi. Secondo Leopold Freiherr von Zedlitz, che scrisse in proposito nel lontano 1834, il nome deriverebbe da un Moro al servizio del Margravio di Schwedt il quale, grazie alla generosità del signore, potè costruire qui la sua casa.
Altri invece, forse con maggiore fondamento, ritengono che il nome, di origine coloniale, sia stato dato alla strada durante il regno di Federico I (1688-1713).
Federico I, infatti, è stato l’ultimo duca ed il primo re di Prussia, ma anche il sovrano della colonia commerciale Groß Friedrichsburg in Africa occidentale. Nel periodo coloniale Brandenburg-Prussiano (1682 / 1683-1717) si sa con certezza che a Berlino erano presenti ragazzi e giovani rapiti dall’Africa occidentale i quali erano impiegati come musicisti militari, servitori di corte e camerieri. L’elettore Friedrich Wilhelm del Brandeburgo nel 1680 aveva incaricato il capitano Bartelsen di rapire sei “schiavi di 14, 15 e 16 anni, che sono belli e ben fatti” per portarli a Berlino.
Nel 1682 l’elettore ordinò al Capitano Voss di tornare con “venti grandi schiavi dai 25 ai 30 anni e venti ragazzi dagli 8 ai 16 anni”. Le illustrazioni del tempo attestano chiaramente la presenza di diverse persone dalla pelle scura a Berlino, come l’incisione su rame colorato di Peter Schenk raffigurante un musicista militare nero alla Corte di Brandeburgo (1696-1701) oltre al famoso dipinto Tabakskollegium von Frederick I di Paul Carl Leygebes, realizzato nel 1709/1710 e raffigurante una stanza da fumo con la presenza di tre giovani neri e un servitore con un turbante.
Un’ultima tesi, del tutto diversa, è quella dello storico Ulrich van der Heyden secondo cui la Mohrenstrasse prenderebbe invece il nome da una delegazione di rappresentanti africani della colonia di Brandeburgo Großfriedrichsburg (detta in seguito Ghana) guidata dal capo Janke del villaggio di Pokesu (che poi assunse il nome di Princes Town). La delegazione fu alloggiata per circa quattro mesi in una locanda vicino alle porte di Berlino, e da lì i membri del gruppo si recavano a piedi dal quartiere al palazzo. Successivamente la via spesso percorsa dai mori venne detta dai berlinesi Mohrenweg (cammino dei mori) per poi diventare Mohrenstrasse. Secondo van der Heyden tale nome non avrebbe nulla a che fare con il colonialismo e la schiavitù del popolo africano.
Storie e leggende a parte, fin dagli anni ’90 a Berlino è nata una discussione sui nomi storicamente – e politicamente – controversi di varie strade e su questo in particolare. La questione è stata sollevata più volte negli anni, ma per ora senza un risultato concreto.
In una prima fase varie associazioni hanno denunciato l’uso discriminatorio del termine “Mohr”, in italiano moro, nel nome della via. Tra gli oppositori ricordiamo l’Afrika-Rat Berlin-Brandenburg (il Consiglio africano di Berlino-Brandeburgo), la Initiative Schwarzer Menschen (Iniziativa uomini di colore) oltre a gruppi di critica al colonialismo come la Verein Berlin Postkolonial (Associazione Berlino Postcoloniale) ed i rappresentanti di organizzazioni come la Internationalen Liga für Menschenrechte (Lega internazionale per i diritti dell’ uomo).
Anche la rete di oltre 100 associazioni riunite nel Berliner Entwicklungspolitische Ratschlag (BER – Consiglio berlinese per le politiche di sviluppo) si è espressa in senso critico, e con loro numerosi afro-tedeschi.
Secondo questi gruppi il nome Mohrenstrasse va cambiato perché discriminatorio, ed il suo permanere sarebbe espressione di una mancanza di riconsiderazione del razzismo e del colonialismo europeo e tedesco. Le idee per un nome nuovo non mancano, si è parlato di Nelson Mandela, della Regina di Saba o di Anton Wilhelm Amo.
La proposta di cambiare il nome della Mohrenstrasse è stata avanzata anche in sede istituzionale dai rappresentanti dell’allora PDS (in tedesco Partei des Demokratischen Sozialismus, il Partito del Socialismo Democratico poi confluito in Die Linke – La sinistra) e dai Verdi nel distretto di Mitte, trovando un certo sostegno politico. Anche Heidemarie Wieczorek-Zeul (SPD), allora ministro federale, si era espresso a favore di un nuovo nome, ma l’ idea non aveva avuto seguito. Successivamente, nel febbraio 2009, il Naturfreundejugend di Berlino (Gioventù amante della natura) ha di nuovo posto l’accento sul problema in modo molto singolare, cioè depositando un coniglio rosa nella Möhrenstraße.
La questione è tornata alla ribalta anche in seguito con manifestazioni che si sono susseguite anno dopo anno.
Il 22 febbraio 2014 circa 200 persone hanno manifestato per dare alla nota strada il nuovo nome di Nelson-Mandela-Strasse. Il 23 agosto dello stesso anno, in occasione della Giornata internazionale per il ricordo della schiavitù e della sua abolizione, un’alleanza di gruppi della società civile, Decolonize Mitte, ha celebrato la prima festa per la ridenominazione della M-Straße, seguita dalla seconda festa esattamente un anno dopo.
L’ iniziativa si è ripetuta con cadenza regolare e nel 2018 gli attivisti del quinto festival hanno chiesto di intitolare la strada ad Anton Wilhelm Amo. Si tratta di una figura importante del tutto sconosciuta in Italia, ma piuttosto dimenticata anche in Germania dove meriterebbe un dovuto riconoscimento indipendentemente da meccanismi sostitutivi. Amo è stato il primo accademico e filosofo di colore tedesco, vissuto in Germania nel 700, il quale verso la fine della sua vita fu emarginato dall’attività universitaria tanto da essere costretto al ritorno in Africa.
Nel gennaio 2015 l’omonima stazione U–Bahn (metropolitana) di Mohrenstrasse ha ospitato l’attore tedesco Dieter Hallervorden il quale ha partecipato alla campagna “Fai un annuncio”. L’iniziativa è stata promossa dal BVG (la società dei trasporti di Berlino) che in quel periodo aveva invitato molte celebrità a tenere delle serate nelle stazioni.
La vicenda è paradossale.
Hallervorden da comico e grande provocatore ha scelto questa stazione dal nome evocativo dato che nel 2012 era stato accusato di razzismo per il suo spettacolo Ich bin nicht Rappaport (Io non sono Rappaport), nel quale per interpretare un uomo di colore era stato mandato in scena un bianco con la faccia tinta di nero. Hallervorden aveva seguito la tradizione americana ottocentesca del Blackfacing, considerata oggi razzista, e quindi la sua serata nella stazione Mohrenstrasse (dedicata ai mori) era stata considerata negativamente dalla comunità nera di Berlino, sollevando grandi polemiche sui giornali.
Non tutti sono d’accordo sulla ridenominazione della strada e della stazione, anzi in molti si oppongono. Il CDU di Berlino, il locale partito cristiano – democratico, è contrario e non considera la parola “Mohr” razzista dato che deriverebbe da “Maure”, un termine senza connotazioni particolari che designava i nordafricani musulmani.
Insomma il problema è aperto e non se ne vede la soluzione. La storia della Mohrenstrasse è ancora in cammino, dove andrà a finire?