Con un patrimonio di quasi 2 mila dipinti e una delle rassegne più complete della scuola veneta e lombarda, l’Accademia Carrara di Bergamo è un luogo affascinante, frutto del contributo di privati e collezionisti.
In attesa di tornare a riammirarne i capolavori, in vista della riapertura dei musei prevista per il prossimo 18 maggio, proviamo a ripercorrere la storia e i tesori di un luogo simbolo in una delle città più colpite dall’emergenza coronavirus: l’accademia Carrara di Bergamo. Ma come nasce questa Accademia ?
Furono due i progetti che il collezionista Giacomo Carrara inseguì tutta la vita: l’istituzione di una Scuola di pittura e la costruzione di una Galleria che accogliesse la sua raccolta d’arte, destinata al pubblico degli intenditori. Per realizzare il suo sogno nel 1766 acquistò un vecchio stabile in Via della Noca, a Bergamo, trasformandolo radicalmente e dando vita al nucleo originario dell’edificio neoclassico progettato da Simone Elia, oggi sede dell’Accademia.
Alla morte del conte Carrara, nel 1796, la sua collezione contava ben 1275 dipinti. Lo storico dell’arte, che fu anche committente, mecenate, viaggiatore e protettore delle arti, era riuscito ad accumulare un patrimonio artistico così poderoso da non riuscire più a contenerlo all’interno delle sue dimore sparse in città. Da qui la scelta di dedicare alla sua passione un intero edificio, in grado di accogliere anche una Scuola d’arte destinata ai giovani della zona.
La raccolta permette oggi di riconoscere l’esemplare criterio che orientava le scelte dello storico dell’arte: offrire un’ampia gamma di modelli ai giovani frequentatori della sua Scuola di pittura.
Alla morte del conte, avvenuta il 20 aprile 1796, non essendovi eredi, il suo immenso patrimonio artistico venne affidato ad una fondazione che avrebbe dato luogo all’attuale Accademia Carrara.
Il patrimonio del museo si arricchisce nel tempo in modo straordinario, per numero e qualità delle opere, grazie ai lasciti del conte Guglielmo Lochis, del senatore Giovanni Morelli e dello storico dell’arte Federico Zeri.
Attraversare le 28 sale della prestigiosa istituzione bergamasca significa percorrere cinque secoli di storia artistica, dall’inizio del Quattrocento sino alla fine dell’Ottocento, ammirando 500 dipinti e circa 50 sculture, entrando in contatto con le maggiori Scuole pittoriche italiane e con la pittura d’Oltralpe di Fiandre e Olanda.
Oltre a Pisanello, Raffaello, Tiziano, Lotto, Tiepolo , la Galleria vanta la raccolta di dipinti di Maestri e allievi della Scuola dell’Accademia Carrara, che comprende, tra gli altri, opere di Diotti, Piccio, Coghetti, Trécourt.
Alle 134 sculture in collezione, molte di età barocca, si affianca la ricca raccolta di stampe. In tutto sono 7500, opera di artisti come Mantegna, Dürer, Piranesi e Canaletto.
I disegni antichi sono invece circa 3mila, raccolti per la maggior parte dal conte Giacomo Carrara. In questo straordinario tempio dell’arte c’è spazio anche per la numismatica, grazie alle 221 monete greche, romane, medievali e italiane fino all’Ottocento. Non mancano le medaglie dal Quattrocento all’Ottocento – di particolare interesse sono quelle di Pisanello – e ancora i ventagli, le porcellane, gli argenti, le oreficerie, gli antichi sigilli.
La forza plastica, quasi scultorea della Madonna con il Bambino di Andrea Mantegna, vale l’intera visita. Come anche la tenerezza racchiusa nella Vergine di Carlo Crivelli, sfolgorante di ori e colore, o il San Sebastiano di Raffaello, realizzato per un raffinato committente, dove il Santo, fasciato da un’atmosfera sognante, viene rappresentato secondo un’iconografia aristocratica. In Ricordo di un dolore, tra i capolavori dell’Accademia, attraverso lo sguardo perso nel vuoto, velato di malinconia di Santina Negri, Giuseppe Pellizza da Volpedoesprime tutto il dolore per la morte della sorella Antonietta. In Strumenti musicali di Evaristo Baschenis, invece, lo scorrere inesorabile del tempo è mirabilmente racchiuso nella polvere, visibile sulla tela, depositata sugli oggetti disposti con apparente casualità sul tavolo ricoperto da un panno verde, circondato da un silenzio ovattato.