Cosa c’è di umano in questo? Il diritto alla cure è sacrosanto, ma per molti cittadini non è così. Si fanno investimenti senza senso, per far contento qualcuno e poi si lasciano morire milioni di persone.
Come nell’istruzione, nella scuola, creano il diario elettronico (per comunicare con Marte?) e poi manca la carta igienica nei bagni per i bambini o magari cadono i muri nelle classi. Di fronte ai soldi non si guarda in faccia a nessuno.
Oggi più che mai la medicina moderna, le cure delle persone ecc. sono diventate un strumento per fare soldi. Andando in giro negli ospedali, si pubblicizza una super connessione wi-fi, super robot ecc.E poi per una semplice analisi bisogna aspettare 8 mesi. Qualcosa non torna. Fatto sta, che nel 2018, 18 milioni di cittadini europei non hanno avuto la possibilità di curarsi.
E tale percentuale in Italia ha riguardato il 2,6% della popolazione, ovvero quasi 1,6 milioni di persone, un numero più basso della media dei 28 Stati membri dell’Unione Europea, ma in cui pesano particolarmente i costi elevati. A rivelarlo è l’Eurostat, che ha diffuso una statistica relativa ai dati del 2018. Dall’analisi dell’ufficio statistico dell’Unione europea è emerso che, in valori assoluti, il numero maggiore di persone costrette a rinunciare alle cure è nel Regno Unito (5,5 milioni), seguito dalla Polonia (3,2 milioni), dalla Francia (2,2 milioni) e dall’Italia (1,6 milioni).
Ma se si guarda alla percentuale rispetto alla popolazione, la situazione peggiore è in Estonia con il 19% mentre l’Italia è al 18/mo posto (2,6%). Quanto alle cause, la Grecia ha riportato la più alta percentuale di persone con esigenze mediche insoddisfatte a causa dei costi insostenibili (8,3%), ma questa classifica vede l’Italia al quarto posto (con il 2%). In particolare, delle circa 1 milione e 569.000 persone che hanno rinunciato a curarsi nel nostro Paese, 241.000 lo hanno fatto per liste d’attesa troppo lunghe, circa 60.000 per paura e altrettanti per mancanza di tempo; mentre la grande maggioranza, oltre 1 milione e 200.000 cittadini, perché le cure erano troppe care. Chi ha i soldi può rivolgersi al privato.
E’ importante ricordare, in uno studio del Cesis, che il 72,6% delle persone che hanno dovuto scegliere la sanità privata lo ha fatto a causa delle liste d’attesa che nel servizio sanitario pubblico si allungano. Pagare per acquistare prestazioni sanitarie è ormai un gesto quotidiano: più sanità per chi può pagarsela. Sono inoltre 7,1 milioni gli italiani che hanno fatto ricorso all’intramoenia (il 66,4% proprio per evitare le lunghe liste d’attesa). Il 30,2% si è rivolto alla sanità a pagamento anche perché i laboratori, gli ambulatori e gli studi medici sono aperti nel pomeriggio, la sera e nei weekend. Sempre per il Censis, per il 45% degli italiani la qualità del servizio sanitario della propria regione è poi peggiorata negli ultimi due anni (lo pensa il 39,4% dei residenti nel Nord-Ovest, il 35,4% nel Nord-Est, il 49% al Centro, il 52,8% al Sud), per il 41,4% è rimasta inalterata e solo per il 13,5% è migliorata.
Il 52% degli italiani considera inadeguato il servizio sanitario della propria regione (la percentuale sale al 68,9% nel Mezzogiorno e al 56,1% al Centro, mentre scende al 41,3% al Nord-Ovest e al 32,8% al Nord-Est). La lunghezza delle liste d’attesa è il paradigma – secondo l’indagine – delle difficoltà del servizio pubblico e il moltiplicatore della forza d’attrazione della sanità a pagamento. Per concludere, facendo riferimento all’Italia, è doveroso ricordare quanti medici stanno lasciando il Paese e questo inevitabilmente ricadrà sui cittadini. Secondo gli ultimi dati il 52% dei camici bianchi espatria.
L’andamento viene confermato anche da una recentissima indagine della Commissione europea, dal Rapporto Eurispes-Enpam e dalla Consulcesi group: in dieci anni, dal 2005 al 2015, oltre diecimila medici hanno lasciato l’Italia per lavorare all’ estero. Nello stesso periodo si sono trasferiti anche otto mila infermieri. Ogni anno 1.500 laureati in Medicina vanno via per seguire scuole di specializzazione all’estero. Un danno anche economico, perché la formazione – dicono i sindacati di categoria – costa allo Stato italiano 150 mila euro per ogni singolo medico.
Chi mette lo stetoscopio in valigia ha un’età che va dai 28 ai 39 anni, la regione da cui emigrano di più i giovani medici italiani è il Veneto. La meta principale è la Gran Bretagna, con il 33% di scelte, seguita dalla Svizzera con il 26%. I professionisti che espatriano sono per la maggior parte ortopedici, pediatri, ginecologi, anestesisti.