
Ti passano vicino mentre passeggi o sei a bar mentre consumi il tuo caffè, oppure si presentano nelle attività dei commercianti con la scusa di acquistare e aprono la mano per mostrargli bossoli di proiettili. Questa è l’infamia di una mafia di merda, anzi della montagna di merda.
Raccontano di spari di pistola a chiunque si accorge le loro attività criminali; ci hanno raccontato come vengono minacciati di morte mostrandogli i proiettili, proprio così.
Qui in Veneto i soliti “mafiosetti” continuano con i loro usi e costumi a estorcere denaro, fare gli usurai, continuare con lo spaccio di sostanze stupefacenti e uccidere una società che vuole vivere.
In queste settimane abbiamo cercato di raccontare, tramite inchieste e ricostruzioni della “Massomafia” partendo dalla famosa “Informativa Caronte”, i vari intrecci di un gioco di potere che mescolano mafia, politica e istituzioni del passato.
Non abbiamo terminato con l’Informativa Caronte, in quanto stiamo per svelare i retroscena e il nuovo volto di quella che in tanti hanno definito “pax mafiosa”, che dalla Sicilia è arrivata in Veneto e altro non è che “un legame di potere” tra mafia, ’ndrangheta, camorra.
In Veneto, dove da anni si parla di immigrati e spaccio di droga, di blitz per fermare il narcotraffico, ma dove le incessanti minacce a semplici commercianti e artigiani fino ad arrivare a persone comuni che non possono più accedere a “finanziamenti da parte di istituti di credito” hanno fin’ora dominato quella “zona grigia”.
Proprio in questo mondo di mezzo, in questo “format”, si è innescato il classico dei classici giochi monetari che servono a far arricchire le criminalità organizzate.
Da Padova a Vicenza, da Vicenza a Verona, proprio qui il classico “usuraio” malavitoso ha messo radici profonde e un traffico di agenti che territorio per territorio “strozzano e minacciano” chiunque si è rivolto a loro per portare avanti la propria attività.
Il classico, è giusto chiamarlo con questo termine, perché chi si trova con l’acqua alla gola e si vede rifiutare finanziamenti o prestiti non può che rivolgersi a loro per salvare “quel tozzo di pane” e continuare a sfamare la propria famiglia.
Qui, il colpevole è solo uno: il tozzo di pane!
Lui è Pietro Vasquez, ex collaboratore di giustizia (e da non confondere con i veri “pentiti”), soprannominato “Re dei videopoker”, ha reintrodotto nel veronese quel sistema già scoperchiato dalla DDA di Catania nel processo “Knock Out”.
Quale sistema?
Associazione per delinquere di tipo mafioso: finalizzata alla commissione di una serie indeterminata di delitti contro la persona (come gli omicidi), contro la libertà morale (come la violenza privata), contro il patrimonio (estorsioni e danneggiamenti), nonché all’acquisizione in modo diretto e indiretto del controllo di attività economiche – sia lecite che illecite (quali la collocazione e gestione di apparecchi elettronici da intrattenimento e per il gioco d’azzardo) – sul territorio di Cassibile, con l’aggravante del carattere armato dell’associazione, in ragione della disponibilità di armi. (Accuse del pm del DDA processo Knock Out).
L’entourage
Pierpaolo Vasquez testimoniò durante il processo “Game Over” affermando quanto sopra riportato prima di essere trasferito alla località protetta.
Qui ci stupisce come lo stesso Vasquez, malgrado sorvegliato a vista, riuscì a trasferire nello stesso momento da Siracusa alla località protetta un ingente quantitativo di denaro contante che deteneva nella sua camera da letto.
E’ possibile che nessuno abbia verificato e perquisito Vasquez e la famiglia? E’ possibile che nessuno abbia trovato quel contante nella camera da letto? Ma come ha potuto vendere gli immobili di Siracusa, il “Re dei videopoker”, e ricavarne qualcosa?
Dopo tutto non era normale che Pierpaolo Vasquez, nonostante fosse in località protetta, ricominciasse la sua carriera criminale!? Qualcuno ha dimenticato il suo soprannome “Re dei videopoker”?
A Verona Pier Paolo Vasquez iniziò la sua attività originaria, cioè l’apertura di una sala giochi (guarda caso mentre era sotto programma e protetto dagli agenti di P.S.).
Questa ”gola profonda ma non troppo” decise di collaborare mentre gli mettevano le manette ai polsi e lo portavano via con una gazzella.
Un mafiosetto che di nomi ne ha fatti, tranne quello del “capo” il super boss “Alessio Attanasio”, che oggi meritatamente possiamo chiamare “’u dutturi” non solo per le numerose lauree acquisite in questa lunga permanenza in carcere ma soprattutto per il modo di agire calmo e riflessivo.
Un super killer Alessio Attanasio capace di uccidere anche il parente più prossimo!
Questa è la mafia e la ‘ndrangheta, questo è il loro modo di volerla e di farla franca ma questa volta – dimenticando che esistono giornalisti coraggiosi.