C’è qualcosa di grave che sta accadendo in questa coda della più pazza crisi di governo che la storia repubblicana recente ricordi. Abbiamo attraversato con scene da “Stato libero delle Bananas” un’estate torrida e siamo arrivati sotto gli acquazzoni con i video di Conte e di Di Maio. Si sono impiegati i giorni per un balletto poco decoroso su poltrone e poltroncine secondo le peggiori tradizioni italiane, nel mezzo di una crisi internazionale che ci rende ancora più fragili di quello che siamo, ma la cosa che più ci preoccupa è un’altra.
Si assiste dai due principali azionisti del nuovo governo a una riproposizione identitaria di ragioni programmatiche che, sfidando le ragioni della logica, vogliono fare credere che ci sia allo stesso tempo continuità (M5Stelle) e discontinuità (Pd) mentre ai nostri occhi appare concreta solo la convergenza a rimuovere tatticamente financo la parola Mezzogiorno dal cosiddetto governo di svolta.
Assistiamo alla solita sindrome da camicia verde (tutta italiana) che condanna questo Paese alle crescite dello zero virgola perché si ha paura di dire oggi che l’autonomia differenziata è dinamite pura per la stessa identica ragione per cui non ci si oppose a tempo debito a quel federalismo fiscale padre dello scippo al Sud e degli egoismi italiani che ha posto le basi della dissoluzione economica e civile del Paese. Come allora la parte illuminata della sinistra storica disse che bisognava scendere sul terreno di Bossi per evitare di consegnare tutto il Nord alla Lega oggi si ripete che non si può dire no alla autonomia differenziata perché altrimenti Salvini non lascia prigionieri nelle vallate e in città. Basta! Fu un errore gravissimo quello commesso allora, perseverare oggi è semplicemente diabolico.
Bisogna avere il coraggio di dire chiaro e forte che il governo della cosiddetta svolta deve avere al centro la crescita e che, quindi, la priorità strategica sono gli investimenti produttivi a partire dalle infrastrutture di sviluppo nel Mezzogiorno “derubato” di risorse da almeno dieci anni proprio a causa del regionalismo predone in salsa leghista.
Non si tratta di rivendicare prebende assistenziali alle popolazioni meridionali ma di restituire a venti milioni di persone il maltolto in termini di spesa sociale – asili nido, scuola sanità – e soprattutto di new deal ambientale – lo scandalo dell’alta velocità ferroviaria è sotto gli occhi di tutti – per consentire all’Italia intera di potere tornare a pensare in grande, uscire dal velleitarismo miope nordista che peraltro ipoteca un destino di colonizzazione franco-tedesca-cinese, e a concepire un progetto Paese di crescita che recuperi la coerenza meridionalista del trentino De Gasperi del primo dopoguerra e unisca oggi le intelligenze e le energie migliori delle due parti dell’Italia.
L’operazione verità condotta da questo giornale sulla ripartizione tra Nord e Sud della spesa pubblica allargata deve essere la base numerica di ogni ragionamento perché non esiste serietà se non si parte da numeri veri e condivisi. Contiamo molto, a questo proposito, sull’indagine conoscitiva della Commissione Finanze della Camera perché la solennità della sede parlamentare consente di evitare argomentazioni da Bar Sport. Può offrire un contributo decisivo per l’unificazione nazionale economica e civile e consentire finalmente la valorizzazione del capitale umano di talento delle nuove generazioni.
La lezione del voto tedesco con l’ultradestra che sfiora il 30% in Sassonia e trova alimento proprio nella frustrazione delle popolazioni del Sud tedesco, la Germania dell’Est, che chiedono salari e pensioni uguali a quelli dei cittadini dell’Ovest, insegna qual è la strada per battere in casa nostra il nazional-populismo di destra che non è continuare a lisciare il pelo agli egoismi del Nord ma dare risposte concrete ai bisogni delle regioni meno ricche ponendo in quei territori basi non assistenziali per uno sviluppo duraturo.
Questo è l’unico cemento possibile di un patto politico nuovo che unisca il Movimento 5 Stelle, a elevatissimo radicamento nel Mezzogiorno, e il Partito Democratico, saldamente ancorato ai valori europei, in un disegno di cambiamento di lungo termine che restituisca all’economia italiana ritmi di crescita degni di questo nome e metta così a nudo le contraddizioni e le miserabilità di un leghismo sovranista ladrone in casa e isolato in Europa. Questa è la via maestra per fare ripartire l’Italia e sconfiggere la destra. Non è compatibile con tatticismi di sorta e il solito compromesso con gli interessi forti della piattaforma Rousseau e della parte più egoista del Nord. Serve il coraggio della politica.