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La scrittura rappresenta un modo per esprimere la propria personalità, il proprio pensiero. Oggi ci sono molti scrittori italiani, tra questi Joey Gianvincenzi che esprime con la sua scrittura i propri valori. Joey Gianvincenzi ha accettato la nostra intervista e lo ringraziamo per la sua disponibilità:
Perché ha cominciato a scrivere? C’è un’immagine nella sua memoria che ricollega al momento in cui ha deciso di voler diventare scrittore?
Sì, c’è un’immagine precisa. Ero alle scuole elementari e la maestra di italiano ci racconta la storia di un bambino che si era perso in un bosco. Arrivata al punto più bello s’interrompe e ci dice: “Inventate voi il resto della storia”. Ebbene, quello è senz’altro il momento in cui ho deciso che narrare sarebbe stato il mio destino.
Le motivazioni che mi spingono a scrivere sono legate alla condivisione, di tutto: la vividezza di alcune immagini, il dolore o la felicità di alcune emozioni, la bellezza mozzafiato del linguaggio.
Ci racconti il suo rapporto con la scrittura e com’è cambiato nel tempo. Cosa significa scrivere oggi, e cosa significava agli inizi? Cos’è rimasto, cos’ha perduto, e cos’ha guadagnato?
Il rapporto con la scrittura, di fondo, è sempre lo stesso. Provo un grande rispetto e reverenza verso le parole e il potere che detengono. Scrivere oggi significa quello che ha significato per millenni: liberarsi e liberare. Poco importa se siamo partiti dal papiro e siamo finiti con lo smatphone, quello che conta è che le persone non perdano mai la voglia di raccontare una bella storia. In quanto a me è rimasta la voglia di scrivere, non ho perso nulla se non cattive abitudini e, a furia di leggere, ho guadagnato emozioni e cultura.
Qual è il suo pubblico ideale? A che lettore pensa quando scrive?
Il pubblico ideale per uno scrittore è quello che ha voglia di leggerlo. Mi è capitato di parlare con lettori di dodici anni così come di ottanta. Quando scrivo non penso a nessun lettore: la totalità dell’attenzione è rivolta verso i personaggi che mi parlano, si muovono, fanno cose e io sono lì a correre come un razzo sulla tastiera con un unico compito: ritrarli così come li vedo.
Che relazione c’è tra la scrittura e la società, con le sue influenze politiche e culturali? E come convivono questi aspetti nella sua produzione letteraria?
La politica è praticamente inesistente nella mia vita. La produzione letteraria è in gran parte influenzata da quello che mi succede e da ciò che vorrei regalare ai miei lettori, il resto è solo materiale che, in caso servisse, è pronto per narrativizzarsi (termine che ho coniato in questo momento).
Ad ogni modo scrivere ed essere letti in una società veloce come la nostra non è facile. Credo che le persone stiano perdendo il gusto di fermarsi e gustarsi pagine su pagine sorseggiando tè.
La verità è che alla società non frega nulla di quello che scrivi perché non ne vede un gran tornaconto. Ecco perché penso che la vera società di uno scrittore siano i suoi lettori.
Quali autori l’hanno formata maggiormente e com’è arrivato a loro?
In primis Marcel Proust e Fernando Pessoa. Sono arrivato (seriamente) a Proust attraverso alcune citazioni universitarie. Prima l’ho accusato di essere troppo prolisso, pedante e poco scorrevole, poi, dopo averlo letto con attenzione mi sono tremendamente pentito di ciò che avevo pensato e ho imparato ad apprezzarne la mostruosità stilistica, l’incredibile magia tra pensiero e parola. Alcuni passi mi hanno sconvolto tant’è stata la bellezza infinita che legava il concetto al modo in cui era riuscito a descriverlo.
In quanto a Pessoa l’ho conosciuto perché mi ha chiamato lui, letteralmente. Ero in una libreria di Roma e, tra tutti i titoli, il suo spiccava. Mi sono avvicinato con passi furtivi, l’occhio indagatore, quasi come fossi convinto che da quel libro fosse uscita la sua voce che pronunciava il mio nome.
L’ho comprato, l’ho letto e ne sono rimasto stregato.
In che stato si trova la letteratura italiana oggi? Vede delle mancanze rispetto al passato, trova che ci siano delle fioriture interessanti?
L’editoria italiana soffre, incredibilmente. Ci sono validissime penne, ma i tempi sono duri. I libri non si vendono, gli italiani non leggono. Luoghi comuni? Non credo, o almeno sono veri in parte perché ci sono quei lettori che sono gli eroi della letteratura di oggi perché leggono, acquistano, supportano, partecipano attivamente. Le statistiche parlano malissimo dell’Italia e hanno ragione, ma sono fiducioso. Se nelle scuole venisse incrementato e stimolato l’amore verso la lettura, probabilmente la società ne risentirebbe positivamente.
In quanto al passato credo che in ogni epoca ci siano stati i geni di turno e sono sicuro che ce li abbiamo anche noi, in questa precisa epoca: basta solo leggere e scoprirli.
E per finire, un gioco: se potesse scegliere solo tre libri da consigliare, quali sarebbero?
1) Dalla parte di Swann – Marcel Proust (ma solo se avete tanto tempo libero)
2) Il libro dell’inquietudine – Fernando Pessoa (ma solo se non siete giù di morale)
3) I miserabili – Victor Hugo (ma solo se avete voglia di piangere).