Istanbul – vola l’opposizione, volano anche i titoloni dei principali quotidiani. Dal titolo del New York Times che parla di “Sconfitta pungente per Erdogan” al titolone pubblicato dal quotidiano tedesco Welt che profetizza “In questa sera di giugno inizia la fine dell’era Erdogan”. A quanto pare, la vittoria dell’oppositore Ekrem Imamglou ai danni del pupillo di Erdogan Binali Yildirim ha risollevato l’animo di Tabloid e giornalisti che, in poche ore, sono passati dalla rassegnazione di fronte allo strapotere del “sultano” ai festeggiamenti per la sua sconfitta.
Infatti, con il 99% dei voti scrutati, gli elettori hanno confermato la loro preferenza per l’oppositore Imamglou, il quale si è imposto su Binali Yildirim con il 54% dei voti validi. Questo risultato è arrivato dopo l’annullamento delle elezioni dello scorso 31 marzo, le quali hanno rotto l’egemonia islamista di 25 anni al governo del Municipio per dare una prima vittoria all’Opposizione.
In altre parole, la ripetizione dei comizi municipali si è rivelata controproducente per lo stesso Erdogan, ormai abituato al monopolio indiscusso dello scenario politico turco. L’uomo forte si è accorto di aver fatto la mossa sbagliata, ma ormai era molto tardi. Così, negli ultimi giorni Erdogan ha evitato di comparire accanto Yildirim, per salvare la propria immagine. Sì, l’immagine, un elemento molto importante per un leader carismatico che vede sfuggire di mano il proprio distretto.
Dopo le elezioni e, osservando l’euforia con la quale i media e alcuni analisti occidentali leggono il risultato, la domanda da porsi sarebbe: l’esito delle municipali di Istanbul è un indicatore affidabile per valutare il futuro politico del Paese? La sconfitta di Erdogan è destinata a replicarsi a livello nazionale?
Sappiamo che Istanbul è considerata una Megalopoli che concentra circa 14.377.000 abitanti, superando di gran lunga la stessa Ankara dove ci sono poco più di 5.000.000 abitanti. Oltre ad essere il centro economico e finanziario del Paese, Istanbul rappresenta un ponte storico tra Oriente e Occidente. L’ex-capitale degli imperi Romano, Bizantino, Latino e Ottomano, vanta di un’originalità che la rende diversa dal resto della Turchia.
Istanbul genera oltre il 21% del PNL turco e il suo PIL ammonta al 31% di quello dell’intera Nazione. Si tratta di una Metropoli che, di tanto in tanto, può permettersi di rivendicare la propria autonomia anche nei confronti di un Regime autoritario come quello di Erdogan. Il suo commercio rappresenta oltre il 50% del commercio nazionale e le sue esportazioni e importazioni rappresentano il 57% e 60% delle esportazioni e importazioni dell’intera Turchia.
Istanbul è anche, senza dubbio, la prima destinazione turistica del Paese. L’incrocio tra Oriente e Occidente che essa rappresenta, la sua interazione con il resto del Mondo attraverso il flusso di persone, servizi, merci e capitali, la rendono un luogo difficile da dominare per il regime di Erdogan.
Se a tutto questo aggiungiamo la crisi economica innescata l’anno scorso e che ha portato il Paese in recessione, si spiega come Istanbul sia passata dall’indifferenza alla contestazione nei confronti del centralismo di Ankara.
In parole povere, se a una Megalopoli del genere gli tocchi ciò che la rende diversa dalla capitale amministrativa, e cioè, la ricchezza e il benessere come surrogati delle libertà politiche sottratte dal Centro, non puoi che aspettarti una risposta negativa da parte dei suoi cittadini. Se questo accade in prossimità alle elezioni, bisogna dare per morta la giunta municipale uscente, anche se quest’ultima ha 25 anni al potere.
Tutto questo non può che indicarci la realtà di una Città diversa dalle altre. Una città con il potere economico-finanziario a sufficienza per contestare di tanto in tanto il potere centrale, ma è sempre una città-eccezione che, a differenza del resto della Turchia, può sfuggire ogni tanto al ferreo controllo di Erdogan. Una città che ogni tanto rivendica il suo status come accade nel caso di Barcellona nei confronti di Madrid, San Pietroburgo nei confronti di Mosca e altre metropoli che, quando lo ritengono giusto, si permettono di alzare la voce nei confronti dell’Amministrazione centrale.
La sconfitta del regime di Erdogan ad Istanbul apre un piccolo spiraglio di democrazia per le opposizioni, ma Istanbul, essendo così diversa, non può rappresentare un indicatore affidabile per l’intero la Turchia. Poi, parlare di un presunto declino di Erdogan o dichiararne la fine senza neanche aspettare la prossima mossa di chi ha nelle sue mani quasi tutti gli organi dello Stato è molto prematuro.
Inoltre, dobbiamo sottolineare che, a scanso di Colpi di mano o rivolte popolari, mancano almeno quattro anni per le prossime elezioni presidenziali del 2023. Soltanto il tempo e l’uso che gli attori politici faranno di esso, potranno indicarci se ci sono oppure no venti di cambiamento in Turchia.