
Nel 2017, in mezzo alle tensioni che si vivevano nel Venezuela con le proteste originate dal malcontento generale e all’aggravarsi della crisi, Maduro sembrava indebolito e senza risposte pertinenti che rientrassero nel marco della costituzione. Di conseguenza, l’erede di Chavez ha convocato, senza consultare né i cittadini né il parlamento, un’Assemblea Costituente non elettiva che, una volta insediato, ha assunto il controllo di tutti i poteri pubblici.
In altre parole, la Costituente è stata convocata tramite il Decreto Presidenziale n. 2830 emanato il 1° Maggio e senza la partecipazione dei cittadini né delle altre forze politiche, come lo dispone l’articolo 347 della costituzione venezuelana. In altre parole, l’Assemblea Costituente è stato un bagno di acqua fredda per l’opposizione che si appoggiava al Parlamento in quanto esso era l’ultimo baluardo di democrazia nel Paese e l’unico canale a disposizione per veicolare il malcontento popolare nel marco delle leggi e della costituzione allora in vigore.
Successivamente, il 30 Giugno sono state convocate le elezioni a lista unica nelle quali l’unica opzione era quella di votare gli unici candidati predisposti dal proprio partito, il PSUV. Con un’astensione di oltre il 73% degli aventi diritto, la Costituente di Maduro nasceva zoppa e carente di legittimità. Per tale motivo, la maggioranza degli Stati democratici, le Nazioni Unite, l’OAS e la stessa UE hanno deciso di non riconoscere quest’organo, il cui unico obiettivo si è rivelato quello di somministrare i pieni poteri a Maduro in un perenne Stato di eccezione nel quale si mantengano sospese le garanzie della costituzione ancora in vigore.
Sotto la guida di Delcy Rodríguez e di Diosdado Cabello successivamente, entrambi esponenti della linea più oltranzista del regime, la costituente ha fatto tutto tranne che scrivere un nuovo testo costituzione. Dopo circa un anno e mezzo, la legislazione della Costituente ha avuto una funzione strumentale, approvando diverse leggi con lo scopo di decimare l’opposizione ed estinguere le istituzioni d’ispirazione democratica. A tal proposito, la costituente ha esordito con la sospensione dell’immunità ai parlamentari, ha destituito la Procuratrice Luisa Ortega Dìaz costringendola all’esilio, ha messo fuorilegge i partiti dell’opposizione e ha varato la cosiddetta “legge contro l’odio” dietro alla quale si cela il colpo di grazia alla libertà di stampa, concedendo una cornice di legalità alla censura e alla persecuzione dei giornalisti e dei cittadini che denunciavano gli abusi di Potere e la corruzione dilagante nel regime di Maduro.
Finalmente, l’Assemblea Costituente ha convocato le elezioni Presidenziali del 20 maggio 2018, modificando la data, le condizioni di partecipazione e sostituendosi al Comitato elettorale. In sostanza, un organo carente di legittimità, posto ad hoc da Maduro, aveva la pretesa di decidere come e quando i venezuelani avrebbero votato. La Costituente, sostituendosi allo stesso Comitato Elettorale e convocando le elezioni Presidenziali sotto le condizioni desiderate da Maduro, perpetrava così il più grande oltraggio contro la costituzione e le sue garanzie.
Dall’altra parte, c’era un’opposizione decimata, con i Partiti Politici messi fuori legge, con i propri parlamentari sfrattati dalla sede del Palazzo legislativo e alcuni dei suoi leader inabilitati, imprigionati o costretti all’esilio. Date le condizioni, l’opposizione ha deciso di non partecipare ai comizi convocati da un organo illegale ed illegittimo. In effetti, aderire alla convocazione di tali elezioni avrebbe contribuito a legittimare un organo la cui singola finalità è quella di sospendere le garanzie costituzionali per assicurare la permanenza di Maduro al Potere, le forze democratiche e la popolazione sono rimaste al margine di un processo del tutto incostituzionale. Allo stesso modo, una parte sostanziale della Comunità Internazionale ha deciso di non riconoscere queste elezioni in cui l’esercizio del suffragio risentiva di un ferreo controllo autoritario da parte di un esecutivo che era diventato arbitro e parte del suo stesso gioco.
Il 23 gennaio 2018 l’Assemblea Costituente ha deciso di convocare i comizi Presidenziali per il 22 aprile. Successivamente, la data sarebbe stata spostata al 22 maggio. L’improvvisa convocazione di elezioni Presidenziali – previste per consuetudine per l’ultimo trimestre dell’ultimo anno di mandato – ha destabilizzato l’ambiente politico interno e ha garantito, in diversi modi, le condizioni per un risultato nettamente favorevole alla rielezione del Presidente in carica.
Secondo le cifre ufficiali, le elezioni Presidenziali del 2018 sono state vinte da Maduro con il 68% dei voti validi, ma sempre secondo le stesse cifre, soltanto il 46% degli aventi diritto è andato a votare (9.389.056 persone). Invece, un’organizzazione indipendente ha rilevato che soltanto il 17,32 degli aventi diritto hanno partecipato all’elezione (3.594.040 persone). Pur prendendo in considerazione soltanto le stime offerte dalle fonti ufficiali, il calo della partecipazione risulterebbe di circa il 33,6% rispetto alle scorse elezioni Presidenziali del 14 aprile 2013 alle quali hanno partecipato il 78,71% degli aventi diritto al voto.
Questi numeri, non solo espongono l’illegittimità delle elezioni stesse, ma pongono di manifesto il venire a meno della fiducia degli elettori al momento di dover partecipare in comizi nei quali il voto risente di un ferreo controllo autoritario. Sebbene i risultati abbiano dato la vittoria a Maduro, i comizi si sono rivelati viziati sin dall’inizio. Fattori come la manipolazione della data in cui essi sono stati convocati secondo le Preferenze di chi detiene il controllo dell’esecutivo, la disuguaglianza delle condizioni di una campagna elettorale nella quale un singolo candidato aveva il 70% degli spazi radiotelevisivi per sé, il ferreo controllo autoritario sul voto manifestato sull’obbligo agli impiegati pubblici di votare Maduro e, infine, le persecuzioni, la violenza e le intimidazioni alle quali è stata sottoposta l’opposizione fino a provocarne la temporanea scomparsa dallo scenario politico del Paese, mettono in discussione l’attendibilità dei risultati emanati dall’Elezione Presidenziale del 20 Maggio in Venezuela.
Nonostante la varietà di elementi che pongono in discussione l’attendibilità di questi comizi, il nodo centrale della controversia resta all’origine della convocazione delle Presidenziali del 20 maggio. Convocate da un ente di dubbia natura democratica come lo è l’Assemblea Costituente nominata ad hoc da Maduro e creata nel mese di luglio dell’anno 2017, queste elezioni accusano un vizio che risiede nella loro origine piuttosto che nel loro discutibile svolgimento.
Alla chiusura dei seggi, il candidato Henri Falcon, dissidente del chavismo della prima ora, il quale aveva deciso di partecipare nell’elezione nonostante le irregolarità denunciate dalla stessa Mesa de la Unidad Democratica, ha dichiarato di non riconoscere i risultati emanati dalle elezioni. Secondo l’ex-candidato, il PSUV, partito di Maduro avrebbe esercitato diversi meccanismi di coazione sul voto degli elettori: dall’installazione di 12.711 gazebo del Partito del regime all’ingresso dei seggi nei quali i votanti venivano controllati e intimiditi prima di esercitare il suffragio fino all’abuso della figura del “voto assistito”, un’opzione che permette agli elettori con qualsiasi tipo di limite – analfabeti, disabili – di esercitare il suffragio essendo accompagnati da un familiare o da una terza persona che possa fornirgli aiuto e, infine, facilitare l’esercizio del suffragio. In teoria, quest’ultimo dovrebbe rispettare la volontà dell’assistito, ma in questo caso sono stati direttamente i militanti del chavismo ad accompagnare gli assistiti che in molti casi non erano persone con degli impedimenti tali da non poter esercitare il loro voto in autonomia. L’esortazione di Henri Falcon è stata quella di ripetere i comizi, questa volta nel rispetto delle regole della trasparenza.
La controversia attorno alla mancata verificabilità delle elezioni e al loro controllo da parte dell’Assemblea Nazionale Costituente ha suscitato una catena di reazioni contrarie di fronte alle poche congratulazioni da parte di alcuni Paesi nei confronti di Maduro. I primi Stati a manifestare il loro disaccordo di fronte a quanto stava succedendo nel Venezuela sono state il Panama e il Cile. Successivamente, i Paesi membri del Grupo de Lima, insieme a diversi Stati europei e agli Stati Uniti d’America, hanno denunciato le irregolarità, la non competitività, la coercizione sul voto e, infine, la mancata partecipazione alle elezioni che, secondo le parole del Vicepresidente degli Stati Uniti, Mike Pence, sono state una “farsa”.
In totale, almeno 64 Stati non hanno riconosciuto le elezioni del 20 maggio 2018 nel Venezuela. Allo stesso modo, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres ha preso nota dei risultati delle elezioni facendo un appello ai leader politici perché diano risposte concrete alla grave crisi che sta colpendo ampie fasce della popolazione. Già il 23 Marzo, Farhan Haq, un portavoce dell’ONU ha reso pubblico il diniego di assistenza elettorale in un’elezione da considerare altamente controversiale.
Nella seconda metà del 2018, Maduro sarebbe rimasto quasi indisturbato al Potere e i diritti umani in Venezuela, così come la situazione generale del Paese, avrebbero subito un forte declino. Con circa 26.000 omicidi annui, oltre 400 prigionieri politici e l’iperinflazione di 1.698.844,2%, il Venezuela ha chiuso il 2018 con l’incrementarsi di un esodo che ha visto partire circa 4.000.000 di abitanti da quando Maduro è al potere.
Nel frattempo, ancora oggi, nelle sedute della costituente si parla di tutto tranne che di una nuova costituzione…