Oggi si celebra un anniversario molto importante per la storia d’Italia. Un anniversario che quest’anno è particolarmente simbolico. Oggi si celebra il centenario dell’entrata in vigore dell’armistizio di Villa Giusti che pose fine ai combattimenti sul Fronte Italiano della Prima Guerra Mondiale, decretando la vittoria dell’Italia sull’Austria-Ungheria.
L’offensiva alleata di Vittorio Veneto, iniziata il 24 ottobre 1918, dopo i primi giorni di aspri combattimenti, aveva fatto breccia nelle linee austro-ungariche lungo il Piave e sul Monte Grappa. Nel frattempo, l’Impero Austro-Ungarico stava collassando dall’interno. La duplice monarchia non riusciva più a tenere sotto controllo le numerose nazioni che componevano l’impero le quali iniziarono a proclamare l’indipendenza. L’implosione del fronte interno spinse i soldati ad abbandonare le armi e ad iniziare la ritirata verso casa mentre il Regio Esercito avanzava e senza incontrare resistenza riconquistò i territori persi in seguito alla disfatta di Caporetto dell’autunno 1917. Il 3 novembre 1918 l’esercito italiano entrò a Trento e Trieste, le tanto ambite città irredente, mentre quello stesso giorno i comandanti italiani ed austro-ungarici firmarono l’armistizio a Villa Giusti, in provincia di Padova, che entrò in vigore il giorno seguente mettendo fine alla guerra sul Fronte Italiano. Il successo fu consacrato dal Bollettino della Vittoria del 4 novembre, pronunciato dal Capo di Stato Maggiore generale Armando Diaz, di cui riportiamo il periodo conclusivo. “I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli, che avevano disceso con orgogliosa sicurezza”. Il nemico se ne andò sconfitto e fu cacciato dal suolo patrio. La guerra contro l’Austria-Ungheria era vinta.
Il 4 novembre è, purtroppo, una data dimenticata, come lo è anche il 17 marzo, giorno della proclamazione del Regno d’Italia. Mentre il 25 aprile e il 2 giugno sono giorni festivi, il 4 novembre è una festa nazionale (festa delle forze armate e dell’Unità nazionale) ma non è più giorno festivo. Lo fu fino al 1976 ma in seguito a una riforma mirata ad aumentare i giorni lavorativi dal 1977 non è più festivo.
A parere di chi scrive, il 4 novembre dovrebbe tornare ad essere giorno festivo. Un giorno in cui non si lavora e ci si ferma per riflettere, per pensare a quella catastrofe che l’uomo si autoinflisse e che viene ricordata come Prima Guerra Mondiale o Grande Guerra, ma non solo. Un giorno festivo per fermarsi e prendere consapevolezza di quanto noi siamo fortunati. Noi giovanissimi, giovani, “millennials” e “baby boomers”. Noi, che abbiamo avuto la fortuna di non aver mai vissuto in prima persona il dramma inimmaginabile di una guerra globale, abbiamo il dovere di fermarci almeno per un giorno e ricordare la generazione dei nostri nonni e quella dei nostri bisnonni, le quali ebbero invece la sfortuna di vivere quel terribile trentennio dal 1914 al 1945. Abbiamo il dovere di non dimenticare affinché ciò non accada più e abbiamo anche il dovere di portare rispetto verso quelle centinaia di migliaia di giovani italiani morti ammazzati in modi orrendi che noi non possiamo nemmeno lontanamente concepire. E mantenendo viva la memoria portiamo loro rispetto.
Il 4 novembre però, non dovrebbe essere dedicato unicamente al ricordo dei caduti della Grande Guerra né tanto meno dovrebbe essere celebrato come “giorno della vittoria” perché c’è qualcosa di intrinsecamente macabro nel festeggiare una vittoria militare che è stata pagata con il bagno di sangue di centinaia di migliaia di giovani. Un giorno festivo in cui c’è ben poco da festeggiare e brindare, ma tanto da ricordare. Il 4 novembre dovrebbe essere il giorno dedicato al ricordo di tutti quegli italiani che sono morti in guerra, anche quelli caduti in anni più recenti in Afghanistan, Iraq, Kosovo e Bosnia per citarne alcuni, e non solo quelli caduti nelle guerre mondiali.
Il 4 novembre dovrebbe essere la giornata della memoria dei caduti e questa ricorrenza andrebbe istituita in tale data poiché il 4 novembre, dall’anno 1918, si concluse la guerra più sanguinosa della storia d’Italia. Proprio così, per l’Italia la Prima Guerra Mondiale fu la guerra più costosa in termini di vite umane, anche più della Seconda Guerra Mondiale. Ciò potrebbe sembrare strano poiché il secondo conflitto mondiale, a livello globale, fece molti più morti del primo: circa 60 milioni contro circa 16 milioni. Inoltre, durante la Seconda Guerra Mondiale l’Italia intera fu un campo di battaglia. Da nord a sud, dalla Sicilia a Milano, tutto il territorio nazionale fu attraversato dalla furia dei combattimenti o come minimo venne occupato da eserciti stranieri. Durante la Grande Guerra invece, i combattimenti furono limitati al confine nord-orientale con l’Austria-Ungheria e, solo dopo la disfatta di Caporetto, si battagliò pure lungo il Piave e sul Monte Grappa mentre solo il Friuli e parte del Veneto furono occupati dagli invasori. Ciononostante la Grande Guerra fu la più sanguinosa perché i soldati venivano mandati a morire a migliaia in assalti frontali senza speranza, come carne da cannone, contro le trincee nemiche. Giorno dopo giorno, ondata dopo ondata, i soldati venivano falciati dal fuoco delle mitragliatrici oppure fatti a pezzi dalla potenza devastante delle artiglierie. Ma non si moriva solo in battaglia. Le disumane condizioni di vita nelle trincee, il freddo e malattie di ogni tipo uccisero tantissimi soldati.
Cogliamo l’occasione di questo centenario per ricordare intanto la fine della Grande Guerra e i suoi caduti, nell’attesa speranzosa che tutti quegli sventurati italiani morti in battaglia, spesso giovani, ricevano un doveroso tributo da parte della nazione.