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Non solo nei cibi, le microplastiche ora trovate anche nell’uomo

| 26 Ottobre 2018 | IL FORMAT

L’inquinamento che avanza su ogni fronte. Le microplastiche provengono da diverse fonti tra cui: cosmetica, abbigliamento e processi industriali. Esistono attualmente due categorie di microplastica: la primaria che è prodotta come risultato diretto dell’uso umano di questi materiali e secondaria come risultato di frammentazione derivata dalla rottura di più grandi porzioni che creano la grande chiazza di immondizia del Pacifico. È stato riscontrato che entrambe le tipologie persistono nell’ambiente in grandi quantità, soprattutto negli ecosistemi marini ed acquatici. Ciò perché la plastica si deforma ma non si rompe per molti anni, e può essere ingerita e accumulata nel corpo e nei tessuti di molti organismi.

Finora erano state trovate nei cibi, soprattutto nei pesci che le ingoiano in mare. Ma ora arriva il primo studio che conferma ufficialmente come le microplastiche rischino di invadere anche il corpo umano. Presenti in una miriade di prodotti tra cui anche molti contenitori per alimenti e nelle bottiglie di plastica, queste microparticelle di plastica fanno ormai parte integrante della nostra catena alimentare. Lo dimostra uno studio pilota che per la prima volta analizza campioni di feci di un piccolo gruppo di persone di vari paesi tra cui l’Italia: in ognuno dei campioni sono state trovate diverse tipologie di microplastiche, fino a ben nove tipologie diverse per campione.

Il lavoro è stato condotto presso l’Università di Vienna e l’Agenzia per l’Ambiente in Austria monitorando 8 persone in Finlandia, Italia, Giappone, Olanda, Polonia, Russia, Gran Bretagna e Austria. Le microplastiche sono particelle di piccole dimensioni che possono sia trovarsi nella composizione di certi prodotti, sia prodursi accidentalmente dalla degradazione di materiale plastico. Le più comuni sono il ‘polipropilene’, presente in una miriade di prodotti dalle sedie alle custodie per CD, e il ‘polietilene tereftalato’, utilizzato principalmente per produrre contenitori per bevande e per cibi. In questo studio otto partecipanti hanno tracciato un diario alimentare per una settimana prima di raccogliere diversi campioni di feci. La presenza di microplastiche è stata riscontrata in ogni campione raccolto, in media 20 particelle ogni 10 grammi di feci. “Si tratta del primo studio nel suo genere e conferma quanto a lungo abbiamo sospettato – dichiara l’autore Philipp Schwabl che presenterà il lavoro in occasione della settimana della European Union Gastroenterology (26th UEG Week) a Vienna – e cioè che la plastica raggiunge il nostro intestino. E’ dirimente capire cosa comporti per la salute umana, specie per chi soffre di disturbi gastrointestinali. Le particelle di microplastica si accumulano infatti nell’intestino, inoltre le più piccole possono entrare nel circolo sanguigno e potrebbero anche raggiungere il fegato”, conclude.

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Secondo gli autori, “oltre il 50% della popolazione mondiale potrebbe avere feci nel proprio intestino”, anche se sottolineano la necessità di studi su più ampia scala per confermare questa teoria. Un’inchiesta di circa un anno fa, avviata da Orb Media, un’organizzazione non profit di Washington, che ha condiviso con il Guardian in esclusiva i risultati, l’acqua che esce dai rubinetti di tutto il mondo contiene microscopiche fibre di plastica (ovvero microplastiche); il dossier, denominato “Invisibles: The Plastic Inside Us”, rappresenta il primo studio a livello globale sull’inquinamento dell’acqua potabile da parte di microplastiche. Gli Stati Uniti sono stati identificati come il Paese con il tasso di contaminazione più elevato: valori che arrivano fino al 94%, con fibre trovate in acqua di rubinetto campionata anche negli edifici del United States Capitol (Campidoglio a Washington), nella sede dell’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente (EPA – Environmental Protection Agency) e persino nella Trump Tower a New York. A seguire Paesi come il Libano e l’India. Le nazioni europee come il Regno Unito, la Germania e la Francia registrano un tasso di contaminazione più basso, anche se la presenza è stata riscontrata nel 72% dei casi. Per quanto riguarda le concentrazioni rilevate, il numero medio di fibre in mezzo litro varia da 4,8 unità negli Stati Uniti sino a 1,9 in Europa. Si tratta di una contaminazione distribuita più o meno in modo uniforme in ogni parte del globo, indipendentemente dalla sede di approvvigionamento.

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