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Trump, a rischio gli accordi nucleari con la Russia

| 22 Ottobre 2018 | ESTERI, IL FORMAT

Dal ritiro unilaterale sull’accordo nucleare iraniano, al ritiro dagli accordi sull’ambiente di Parigi, ora si aggiunge il ritiro più rischioso: ritirarsi dall’INF (Intermediate-range Nuclear Forces), il patto firmato nel 1987 da Reagan e Gorbachev, che sancì l’inizio della fine della guerra fredda fra le due superpotenze. Nel 2021 scadrà anche il New Start treaty on strategic arms e se non verranno siglati ulteriori trattati, il mondo resterà senza una efficace legislatura internazionale inerente la non proliferazione degli armamenti atomici.

La mossa di Trump ricalca il suo modus operandi: sta cercando un nuovo accordo più vantaggioso e per farlo la sua tecnica resta sempre la stessa: porre la controparte davanti al fatto compiuto venendo meno agli accordi. Un trattato non piace? Poco importa che i trattati vanno rispettati fin quando le condizioni permangono le stesse. Se si vuole cambiare un trattato si può utilizzare la forza bruta e imporre le proprie condizioni. Questa (oserei dire “vile”) tecnica può essere perpetrata solamente da chi ha un potere negoziale particolarmente elevato, come la superpotenza USA appunto.

E’ questo che si intende quando si parla di “american exceptionalism”.

Ma come giustifica questa scelta davanti all’opinione pubblica?

Trump asserisce che la Russia da anni stia violando il trattato, il quale impone restrizioni per gli armamenti balistici nucleari e convenzionali di corto-medio raggio (ovvero dai 500 a 5000km di azione).

La Russia asserisce che invece siano proprio gli USA a non rispettare gli accordi.

Questo amorevole e mutuo scaricamento di colpe va avanti da anni e adesso, a detta di Trump, ci si mette anche la Cina. La colpa di quest’ultima sarebbe appunto quella di voler correre agli armamenti per ampliare il suo potere negoziale che è obiettivamente sottodimensionato rispetto al ruolo che l’Impero Celeste ricopre (e che aspira a ricoprire nel futuro).

Quale sia il motivo per cui Trump, davanti a una violazione dell’INF non si sia rivolto agli organi giuridici internazionali competenti, come l’arbitrato, resta sconosciuto. Forse proprio perché il suo scopo non è tanto quello di fare rispettare il trattato, quanto quello di cambiarlo a proprio favore.

La Cina, come ci si poteva aspettare, come fu per i dazi americani, non fa alcun passo indietro.
Putin avverte che risponderà in modo perfettamente speculare alle azioni militari statunitensi.

E l’Europa, da sempre ligia all’ordine internazionale, come sta reagendo? Dal continente la prima voce ad ergersi è quella inglese.

Il declinante Regno Unito, che dopo la Brexit dovrà cercare un’altra sfera di influenza, sta cercando di legare quanto più possibile con l’ex colonia oltre oceano in funzione russofobica, come preannunciato nel precedente articolo. E se l’eccezionalismo americano è stato acquisito dai loro antenati, è proprio la Gran Bretagna la prima a far sapere di appoggiare Trump in questo ritiro dal trattato nucleare.

Sarà anche questa una ottima occasione per l’Unione Europea per procedere verso una maggiore integrazione, necessaria ad acquisire l’indispensabile potere negoziale di cui necessita?

TAG: accordo nucleare, American Exceptionalism, Cina, diritto internazionale, Donald Trump, geopolitica, INF, Putin, Regno unito, Unione Europea
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