
La vittoria di Bolsonaro al primo turno delle presidenziali in Brasile non è un caso estraneo all’aria che tira nel contesto politico del ‘nuovo continente’. Infatti, l’ascesa del ‘Trump Brasiliano’ conferma il crollo di un’egemonia che ha visto – durante almeno due decenni – la sinistra al potere.
Bolsonaro è arrivato promettendo ordine, sicurezza e, soprattutto, soluzioni a una crisi economica dovuta in gran parte all’alto indice di corruzione verificato durante i governi di Lula Da Silva, Dilma Rousseff e Michel Temer, tutti e tre coinvolti nel Caso ‘Odebrecht’: una specie di Tangentopoli che si estende dal Brasile al resto dell’America Latina.
A questo punto, per Bolsonaro, vincere le elezioni è un gioco da ragazzi, dato che gli è bastato sfruttare il disincanto di un popolo al quale era stata promessa una ‘rivoluzione anticapitalista’ che ha visto i cd. rivoluzionari arricchirsi più dei loro predecessori mentre i brasiliani diventavano sempre più poveri.
Col passare degli anni, la Sinistra Latinoamericana ha giustificato il proprio fallimento segnalando gli Stati Uniti come i fautori di continui boicottaggi ai danni dell’America Latina. Con questa narrazione si è riusciti a mantenere un consenso fondato, in primis, sull’odio verso il nemico comune e in secondo luogo sulla fede cieca nella rivoluzione come qualcosa d’inevitabile.
Dopo qualche decennio, i brasiliani (e non solo), ritrovandosi più disuguali e più poveri di prima, sono scesi nelle piazze in un’ondata di proteste che hanno raggiunto il loro picco nel 2014 – durante i mondiali di calcio -. Le proteste si sono verificate anche nel Venezuela (roccaforte del Socialismo del XXI secolo) e la sinistra ha iniziato a subire un calo inarrestabile.
Laddove la separazione dei poteri lo permetteva, i governi ‘socialisti’ sono stati sconfitti alle elezioni: il crollo è partito dall’Argentina con la vittoria dell’imprenditore Mauricio Macri alle presidenziali del 2015, successivamente nel Perù avrebbe vinto il candidato Pedro Pablo Kuczynski nel 2016 e, nel 2017, i socialisti sono stati sconfitti in Cile e in Ecuador, pur avendo vinto il partito di Rafael Correa, l’attuale presidente Lenin Moreno ha deciso di voltarsi a destra.
E mentre i ‘socialisti’ sopravvivevano con l’uso della forza negli autoritarismi di Maduro e di Ortega (Venezuela e Nicaragua rispettivamente), ma in Colombia, nelle presidenziali di quest’anno ha vinto Ivan Duque, un altro imprenditore.
Questa ondata di successi analoghi da parte dei rivali della sinistra latinoamericana si ripeterà – molto probabilmente – in Brasile, paese in cui la vittoria di Jair Bolsonaro rappresenterebbe il tramonto di una sinistra populista con molte ombre e che si vede obbligata a cedere i propri spazi di potere ai tecnici che fanno sempre più irruzione nella sfera pubblica fino al punto di sostituirsi ai politici e, di volta in volta, alla politica stessa.