Il Giappone è una superpotenza economica, la terza del globo dopo Stati Uniti e Cina. L’economia dello stato del Sol Levante è nota per essere all’avanguardia mondiale in numerosi settori, da quello automobilistico a quello dell’elettronica e della tecnologia. Ma il Giappone esprime il suo soft power in tutto il mondo anche grazie a numerosissimi prodotti d’intrattenimento, come anime, manga e videogiochi.
Tuttavia, negli ultimi settant’anni il Giappone, dopo una poderosa ripresa post-bellica che l’ha portato a divenire gigante dell’economia globale, è rimasto un nano dal punto di vista geopolitico.
Dopo la sanguinosissima guerra del Pacifico e l’occupazione americana (1945-52), il Giappone divenne il più fedele alleato degli Stati Uniti nell’Asia nord-orientale, avamposto per contenere l’espansione dell’Unione Sovietica in quella regione. L’alleanza tra Stati Uniti e Giappone venne consacrata con un trattato di cooperazione e mutua difesa militare già nel 1952, revisionato poi nel 1960. A prova del forte legame strategico-militare tra queste due potenze, gli Stati Uniti schierano circa 50 000 soldati in Giappone, di cui 17 000 solo ad Okinawa.
In poche parole, negli ultimi settant’anni il Giappone si è limitato a rimanere sotto l’ala protettiva degli Stati Uniti. Washington, da stato egemone, ha sempre assunto l’iniziativa nella regione, mentre Tokyo ha fatto la parte dello stato vassallo.
Ma i tempi stanno cambiando. Il protagonismo di Pechino nei Mari Cinesi (Meridionale e Orientale) sta sollecitando Tokyo a cambiare impostazione strategica, ovvero abbandonare il ruolo di mero gigante economico e tornare ad occuparsi in prima persona della propria difesa, ricoprendo un ruolo da egemone nella regione dell’Indo-Pacifico in funzione anti-cinese.
Negli ultimi anni, la Cina ha compiuto azioni molto aggressive nel Mar Cinese Meridionale e in quello Orientale, le cui acque sono ricchissime di pesce e vengono attraversate ogni anno da rotte commerciali che valgono miliardi di dollari, mentre nei fondali vi sarebbero combustibili fossili. L’aggressività di Pechino nel Mar Cinese Meridionale ha accresciuto la tensione con Taiwan, Filippine, Vietnam e Malesia, ma l’attrito col Giappone si è verificato in quello Orientale.
In questo mare la Cina reclama la sovranità sulle isole Senkaku (isole Diaoyu in cinese). Questo piccolo arcipelago disabitato è amministrato da Tokyo ma si trova molto più vicino al continente cinese piuttosto che alle isole maggiori dell’arcipelago giapponese e sarebbe la prima linea di scontro in un ipotetico conflitto tra Cina e Giappone. Pechino ha aumentato il suo interesse verso queste isole da quando, alla fine degli anni sessanta, furono scoperti giacimenti petroliferi nel fondale. Pure Taiwan reclama la sovranità su queste isole, tuttavia il comportamento cinese è stato ben più aggressivo. Vascelli della marina cinese conducono innumerevoli esercitazioni nei pressi delle Senkaku mentre “solo nel 2016” i caccia giapponesi “sono intervenuti 851 volte per scortare mezzi cinesi che avevano invaso lo spazio aereo giapponese”.
All’aggressività cinese si aggiunge la modernizzazione delle forze armate promessa dal presidente Xi Jinping. Anche in questo caso il Giappone percepisce la corsa agli armamenti cinese come un minaccia all’egemonia della sua marina militare (pardon, forza di autodifesa marittima) che è la seconda più potente del Pacifico dopo quella statunitense.
Per questi motivi il primo ministro conservatore Shinzo Abe vuole modificare entro il 2020 l’articolo 9 della costituzione giapponese. In base a tale articolo, che come il resto della costituzione fu imposto dagli americani al termine della seconda guerra mondiale, il Giappone rinuncia “per sempre alla guerra come diritto sovrano della nazione”. Il Giappone ha potuto formare delle forze armate solo come strumento di autodifesa e la costituzione vieta l’acquisto di armamenti che non abbiano questo fine. Tuttavia, interpretazioni molto elastiche di questo articolo hanno permesso al Giappone di costruire nel corso degli anni una vera e propria marina militare, che è superiore (almeno finora) pure a quella cinese.
La riforma dell’articolo 9 si rende necessaria per poter modernizzare le forze di autodifesa e ampliarne le capacità. Fare ciò senza prima modificare l’articolo 9 sarebbe un atto palesemente incostituzionale ed illegale che provocherebbe un grave danno politico al premier Abe e a chiunque condivida il suo progetto.
La riforma costituzionale nascerebbe ovviamente nella Dieta (il parlamento giapponese), e qui Abe ha i numeri (maggioranza dei due terzi) per farla approvare. Ma la vera incognita è il referendum popolare. La costituzione giapponese prevede infatti che una riforma costituzionale, per essere definitivamente approvata, oltre che della maggioranza parlamentare dei due terzi, necessiti anche del consenso della maggioranza della popolazione, che si esprimerebbe tramite referendum.
La consultazione popolare è la maggiore incognita per i fautori della riforma dell’articolo 9, in quanto la popolazione giapponese è tendenzialmente pacifista. Una cosa è certa. La leadership nipponica vuole che il Sol Levante risorga per far fronte alla sempre più minacciosa aggressività cinese, mentre gli Stati Uniti fanno mezzo passo di lato.