
La guerra è un fantasma che ogni tanto torna a spaventare molti e appassionare altrettanti. Tutto inizia dall’opinione pubblica, dal sorgere di una tesi che si vede fronteggiata da un’antitesi e all’improvviso vengono saltati tutti i meccanismi della diplomazia, la politica rinuncia a sè stessa e si torna allo “stato di natura” di Hobbes, al linguaggio della violenza e alla legge del più forte.
Oggi tocca alla Siria, dove da almeno 7 anni si vive un conflitto tra diverse fazioni i cui interessi sono ben lontani dal bene del popolo siriano. Da un lato, ci sono i ribelli formati dalle prime diserzioni nelle forze armate, i quali, nel contesto della primavera araba chiesero le dimissioni ad Assad, sostenuto dalla Russia e l’Iran. Con le ribellioni, finanziate anche dagli USA e dall’UE, il regime di Assad sembrava ormai caduto, ma la reazione dei miliziani sciiti provenienti dall’Iran, dal Libano e dall’Afghanistan, oltre ai bombardamenti russi hanno salvato il regime nel 2015. Le difficoltà di Assad nel detenere il monopolio della forza nel territorio e l’assenza di soluzioni diplomatiche da parte della comunità internazionale hanno favorito l’espansione di Isis.
Negli anni successivi non ci sarebbe stato nessun accordo nella comunità internazionale. Gli Stati Uniti e l’UE si sono tirati fuori dalla vicenda e nel frattempo, l’ambizione della Russia, l’Iran e la Turchia hanno chiuso le porte ad ogni vera e possibile soluzione spartendosi la Siria in quattro zone d’interesse per portare alla distensione del conflitto. Si sono imposti alcuni “cessate al fuoco” che non sono stati del tutto rispettati e finora non si è presentata nessuna proposta di pace. L’ultimo episodio è stato il venerdì 13 quando, unilateralmente, il fronte guidato da UK-Francia e Gran Bretagna ha attaccato i luoghi dove presuntamente si trovavano le armi chimiche di Assad
Con almeno 350.000 e 11.000, la guerra in Siria (come il caso iracheno), è un conflitto destinato a protrarsi nel tempo. Un’altra volta i gruppi di interessi e il mercato delle armi prevalgono sui diritti umani di un popolo ridotto ai limiti dell’umana sopportazione. L’aumento delle spese militari da parte delle forze in gioco e l’appalto per la multinazionale che ricostruirà un paese ormai distrutto apriranno il solito circolo di profitti nel negozio che chiamiamo “guerra” e che mantiene i propri guadagni a spese di migliaia di vite umane.
E’ impensabile che nel XXI secolo, la comunità internazionale stenti ad individuare meccanismi diplomatici per evitare l’ennesima guerra sporca nel medio oriente. E’ deludente osservare come gli attori politici cascano sempre nella stessa narrativa dei media tradizionali che vendono ogni guerra come “qualcosa di inevitabile”, ma soprattutto, è un’irrispetto alla dignità affermare che la morte di migliaia di persone porti la “pace e la libertà”.
Fin quando le relazioni internazionali siano manipolate da interessi distanti dalla persona umana, non ci saranno veri legami cooperazione tra i popoli ma un costante confronto nella ricerca del profitto, anche attraverso le guerre che, di volta in volta, tornano per demolire gli sforzi compiuti dalla diplomazia.