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Perché la Turchia NON deve entrare nell’Ue

| 3 Aprile 2018 | ESTERI

La questione dell’adesione della Turchia all’Unione Europea pare la storia infinita. La vicenda si protrae da decenni quando c’era ancora la Comunità Economica Europea, il predecessore dell’Ue.

Un incontro tenutosi pochi giorni fa a Varna, in Bulgaria, ha permesso ai rappresentanti Ue (Tusk e Juncker ) e al presidente turco Erdogan di confrontarsi ancora una volta sulla questione.

Al termine del vertice, il presidente Erdogan ha dichiarato che la Turchia “resta candidata all’accesso all’Ue e vuole avanzare il più rapidamente possibile in questa direzione” ma il  presidente del Consiglio Europeo Tusk ha frenato immediatamente. Le recenti azioni della Turchia nel Mediterraneo orientale e nell’Egeo ma soprattutto in Siria hanno destato serie preoccupazioni da parte delle istituzioni europee. In questo paese la Turchia sta conducendo un’operazione militare, nome in codice Ramoscello d’ulivo, per eliminare l’enclave curda di Afrin, nel nord-ovest del paese. L’offensiva, iniziata in gennaio, è riuscita nell’intento di strappare la città di Afrin al controllo dei curdi, al prezzo di migliaia di morti. L’Ue è preoccupata principalmente per quanto riguarda la condizione dei civili e i corridoi umanitari.

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Ma a prescindere dalle avventure militari turche in Siria e dal protagonismo della marina nel Mediterraneo orientale, la Turchia non può e non deve entrare nell’Unione Europea per un motivo molto preciso: il mancato rispetto dello stato di diritto.

Lo stato di diritto si caratterizza per due elementi fondamentali: il riconoscimento e la garanzia dei diritti fondamentali dell’uomo; la limitazione e il controllo del potere dello stato attraverso norme giuridiche. Lo stato di diritto, proprio dei paesi occidentali, consiste anche in una serie di “pesi e contrappesi” che garantiscono l’equilibrio tra le sue varie istituzioni, in modo da evitare derive autoritarie.

A partire dal tentativo di colpo di stato del luglio 2016, lo stato di diritto in Turchia ha iniziato a sgretolarsi. Un tentativo di golpe su cui ancora oggi aleggiano pesanti ombre e punti interrogativi. Il presidente Erdogan ha puntato il dito contro Fetullah Gulen, suo ex alleato e poi avversario politico che ora vive negli Stati Uniti, il quale avrebbe organizzato da oltre oceano il tentativo di esautorarlo. Tuttavia questa è solo la versione del presidente turco. Per il momento la “vera verità” è sconosciuta e forse non si saprà mai.

Il dato di fatto è che dopo il tentato golpe del 15 luglio Erdogan ha usato il pretesto dello stato di emergenza per arrestare chiunque ritenesse colluso con Gulen e con gli organizzatori del colpo di stato. Migliaia di militari sono stati imprigionati e rimpiazzati con funzionari fedeli al presidente. Ma la situazione è diventata critica quando il governo turco ha cominciato ad arrestare giornalisti, scrittori e professori universitari. Le autorità hanno fermato ed interrogato più di un centinaio di giornalisti mentre ne hanno arrestato diverse decine. Il caso più eclatante risale allo scorso febbraio quando 6 giornalisti sono stati condannati all’ergastolo con l’accusa di coinvolgimento nel tentato golpe del luglio 2016. La Federazione nazionale stampa italiana (Fnsi) definì la condanna all’ergastolo dei sei giornalisti “la morte dello stato di diritto in Turchia” e allo stesso tempo chiese la mobilitazione delle istituzioni europee in difesa dei giornalisti imprigionati dall’amministrazione Erdogan. Il governo turco ha fatto anche largo uso della censura oscurando siti internet tra cui Wikipedia, canali televisivi, agenzie di stampa, e siti d’informazione online.

A dimostrazione dell’efferata repressione delle libertà di stampa ed espressione operata dal governo turco, lo scorso 28 marzo la polizia ha fatto irruzione nella redazione di Istanbul dell’ultimo quotidiano filo-curdo sopravvissuto alla censura. 27 impiegati sono stati arrestati con l’accusa di collusione con il Pkk, il partito curdo che Ankara considera un’organizzazione terroristica.

Lo stato di diritto, che consiste nel riconoscimento e nella salvaguardia delle libertà fondamentali dell’uomo (ma non solo), tra cui la libertà di espressione e di stampa, rappresenta un criterio fondamentale per poter entrare a far parte dell’Unione Europea. Finché la Turchia perseguirà la sua campagna di repressione delle libertà fondamentali dell’uomo il suo ingresso nell’Ue è fuori discussione. Inoltre, non esiste vera democrazia se tali libertà non vengono garantite. La libertà d’espressione e il pluralismo dei mezzi d’informazione sono infatti elementi fondamentali di una sana democrazia. Sotto questo punto di vista la Turchia è totalmente incompatibile con i valori comunitari e quindi deve categoricamente restare fuori dall’Unione Europea.

TAG: colpo di stato, espressione, giornalisti, libertà fondamentali, presidente Erdogan, stampa, stato di diritto, Turchia, Unione Europea
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