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Paolo Berizzi, la grancassa dei capitalisti e dei fascisti

| 29 Marzo 2023 | ATTUALITÀ

All’opinione pubblica, specie quella che frequenta i social, vuole apparire come il rappresentante coraggioso dell’antifascismo, o di quello che deve essere rappresentato come tale dalla propaganda liberale: parlo di Paolo Berizzi, giornalista che su La Repubblica cura la rubrica quotidiana “Pietre”, un breve trafiletto con cui spesso denuncia casi di fascismo, razzismo e intolleranze di ogni tipo. I suoi articoletti vengono riproposti sui suoi profili social, dove ricevono tanti apprezzamenti, ma anche parecchi critiche. Bene o male purché se ne parli e il profilo Twitter di Berizzi viene di fatto seguito da un numero considerevole di follower e di hater.

Il gioco sporco di Berizzi è semplice. Io denuncio un’ingiustizia; punto il dito contro una delle due principali parti politiche presenti in Italia, facendo capire che ne sono anche loro una causa; mi pongo dalla parte politica opposta, lasciando quindi intendere che bisogna schierarsi in quell’area per combattere l’ingiustizia di partenza. È solo propaganda.

Viene fatta in primis per creare una divisione manichea dell’opinione pubblica, in modo da rafforzare questo bipolarismo dannoso per il nostro Paese. In secundis il giornalista ottiene visibilità e rafforza il suo status di influencer e questo vuol dire più copie vendute dell’ultimo libro, più partecipazioni televisive. Lo fanno anche Roberto Saviano, Daniele Capezzone, Michela Murgia e Mario Giordano, Selvaggia Lucarelli e Andrea Scanzi.

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Berizzi è questo. Lavora per La Repubblica del gruppo editoriale Gedi, in mano alla famiglia Agnelli-Elkann. La nuova generazioni dei magnati di Villar Perosa ha visto i propri antenati finanziare la stampa italiana nel 1914-15 a favore dell’intervento nella Grande Guerra, non per amor di Patria, ma per aumentare gli utili delle proprie aziende riconvertite alla produzione bellica. La stessa famiglia Agnelli appoggiò il fascismo con tutti i suoi orrori e si fregò le mani quando il Duce decise di riportare l’Italia in guerra al fianco di Hitler. Nel dopoguerra gli Agnelli furono sempre nemici di ogni riforma sociale a favore dei lavoratori e vennero per questo affrontati a testa alta dai partiti comunisti e socialisti.

Oggi gli Agnelli-Elkann sono proprietari del principale quotidiano di area Pd. La Repubblica, da quotidiano liberalsocialista diretto da Eugenio Scalfari è divenuto un fogliaccio eurista, liberista e atlantista guidato da Maurizio Molinari, già difensore della politica guerrafondaia di George W. Bush ai tempi delle guerre in Afghanistan e in Iraq. La Repubblica del 2023 spende poche righe per parlare delle condizioni dei lavoratori, del precariato strisciante (di cui il Pd è responsabile), dei tanti popoli che soffrono povertà e sopraffazioni (per esempio quello palestinese). Sul giornale diretto da Molinari ovviamente non troverete una riga sulla lotta di classe, su un capitalismo sempre più crudele; nonostante alcune sue firme siano state in anni passati comunisti o socialisti. Troverete invece tanti articoli che denunciano casi di razzismo, omofobia, intolleranza religiosa e neo fascismi.

Su queste denunce all’apparenza ci sarebbe da fare un applauso: sono cancri ancora presenti in Italia e in Europa. Ma siamo sicuri che le denunce siano fatte per combattere queste ingiustizie? O vengono buttate nella mischia per rafforzare la divisione manichea e distorta della società italiana e quindi fare il gioco del bipolarismo capitalista? Senza contare la visibilità che guadagna l’autore del giochino.

Paolo Berizzi crea una divisione buoni versus cattivi, dove i primi sono i progressisti e i secondi sono i conservatori. Da una parte il mondo arcobaleno di Elly Schlein e dall’alto quello nero di Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Berizzi fa il gioco del Pd oltre che di se stesso. Questo giornalista, che vuole mostrarsi come baluardo dell’antifascismo, sostiene implicitamente un partito che arma un Paese come l’Ucraina, il cui governo è sostenuto anche da forze politiche dichiaratamente fasciste, che hanno nel proprio pantheon collaborazionisti del nazifascismo e antisemiti dichiarati. Il governo Zelensky ha il pieno appoggio anche delle destre, soprattutto del partito della Meloni, spesso sotto accusa negli editoriali dello stesso Berizzi.

Ovviamente Berizzi è fedele alla linea atlantista e guerrafondaia di Repubblica. Non ci sono due imperialismi che si stanno scontrando, ma un “dittatore cattivo”, Putin, che ha invaso un “Paese democratico”, l’Ucraina reazionaria gestita da oligarchi. Anche qui Berizzi semplifica una realtà complessa e chi osa criticare la visione atlantista del conflitto ucraino diviene in automatico filoputiniano e schierato politicamente a destra, con i cattivi, anche se il grosso delle manifestazioni contro il sostegno militare a Kiev hanno visto sventolare le bandiere rosse (oltre che arcobaleno) e non nere.

I rigurgiti fascisti si fanno sempre sentire. E a tenerli vivi ci pensano penne come quella di Berizzi. Sotto il profilo Twitter del cronista appaiono spesso commenti nostalgici di un regime che per fortuna è stato sconfitto. Probabilmente Berizzi gode nel vedere tanti haters, dato che come tanti influencer politici gioca al “bene o male purché se ne parli”. Fece qualcosa di simile contro i no vax Selvaggia Lucarelli. Berizzi, per ammantarsi di antifascismo, sdogana e supporta i fascisti, dando loro tanta pubblicità gratuita. Berizzi è quindi un fascista o un utile idiota del fascismo. In questo regime capitalista, che Berizzi non si azzarda a criticare, essendone un suo lacchè, il metodo migliore per distruggere un movimento politico è ignorarlo, fare come se non esistesse. Cosa che La Repubblica fa da anni contro tutti i movimenti di sinistra anticapitalisti e antiliberisti. Non a caso questo pessimo quotidiano inganna i suoi lettori facendo credere che l’unica alternativa a queste destre ora al governo è il Pd. Una bugia che contribuisce a indebolire i lavoratori italiani e a garantire i guadagni immeritati di capitalisti arroganti come la famiglia Agnelli-Elkann.

Senza manganelli, senza olio di ricino, La Repubblica manda in overdose di zuccheri i suoi lettori, li droga con una semplificazione della realtà per impedire loro di ragionare. Questa politica squallida di disinformazione ha tra i suoi alfieri Paolo Berizzi. La violenza dei progressisti alla Berizzi fa più male delle scomposte parole di intolleranti e fascistoidi che si leggono sul web. Come scrisse nel 1977 su Lotta Continua Enrico Deaglio, all’indomani dell’attentato terroristico al vicedirettore de La Stampa Carlo Casalegno, «Com’è disumana la borghesia nel seminare morti (i morti sul lavoro, i morti di lavoro), così come lo sono le pallottole dei brigatisti. E naturalmente la borghesia sa rendere meno disumana la propria brutalità e più umana di quella proletaria, la propria umanità». Il terrorismo rosso e nero in Italia si è per fortuna spento, mentre lo sfruttamento borghese prosegue con tutta la sua disumanizzazione. Berizzi obbedisce ai suoi padroni, abbassando lo sguardo davanti allo sfruttamento dei lavoratori e alzando il dito appena un beota compie un’idiozia contro appartenenti a minoranze.

Berizzi ha subito minacce ed è sotto scorta. Su questo non può mancare la nostra solidarietà. Nonostante resti un prezzolato scrittore della ricca borghesia, che cento anni fa comprava la penna sagace di Benito Mussolini (non valutandone le conseguenze) e oggi sostiene quotidiani di fazioni opposte, facendoli litigare su alcune tematiche (come quelle di cui scrive Berizzi), per distoglie l’attenzione dalla lotta tra sfruttatori e sfruttati. La Repubblica e La Verità, per fare i nomi di due testate “avverse”, sono due facce della stessa medaglia. Il nostro giornalista, che si definisce antifascista, è di fatto un erede dello stesso Mussolini. Chissà se i fascisti di oggi che scrivono le peggio cose contro Berizzi se ne rendono conto.

Sempre attento alle questioni milanesi, il cronista di Repubblica ha censurato tre eventi di sinistra che si sono tenuti nel capoluogo lombardo tra sabato 11 e domenica 12 marzo. Nella prima data si è svolta l’assemblea regionale di Unione Popolare all’Arci Corvetto, con più di cento partecipanti. Berizzi non ne ha scritto nulla. Stessa sorte è toccata all’incontro sul socialismo organizzato dall’associazione Socialismo XXI al Cam di Corso Garibaldi (vi hanno partecipato anche ex parlamentari come Felice Besostri e Roberto Biscardini) e dal congresso regionale dei Carc tenutosi domenica 12 marzo. Berizzi non ha bisogno di demonizzare questi nemici, meglio far finta che non esistano. In compenso lo scribacchino borghese ha pubblicizzato un convegno di quattro topi di fogna fascisti, parlando addirittura di “cartello delle sigle dell’ultradestre”. Pubblicità gratuita a dei poveri illusi che senza il megafono di Repubblica resterebbero sconosciuti ai più. Nell’Italia repubblicana nata dalla Resistenza, questo supporter indiretto del fascismo mascherato da democratico rappresenta un problema. Specie se contribuisce a corrompere le menti di lettori che si dichiarano di sinistra.

Berizzi dà visibilità ai peggiori personaggi che popolano il mondo della destra italiana, garantendo loro consensi politici. Perché chiunque non ami la visione politica piddina (che rappresenta a oggi circa il 20% del 60% che si reca alle urne, più cespugli), andrà a collocarsi con coloro che contestano Berizzi, tra i quali si trovano anche i fascisti, sempre in cerca di proselitismo. Berizzi non è uno stupido, sa quello che fa. Cioè favorire i fascisti, rafforzare il razzismo e le discriminazioni, mantenere vive le intolleranze che gli permettono di scrivere ogni giorno un articolo e di vendere libri.

Personaggi del genere, oltre a fare da cassa di risonanza per quotidiani nemici dei lavoratori, contribuiscono a rafforzare gli scontri tra esponenti delle stesse classi sociali. Chi alimenta il razzismo e il fascismo deve essere combattuto da tutte le forze democratiche, non solo da quelle socialiste e comuniste. I giornalisti come Berizzi non aiutano a migliorare la qualità del nostro Paese, anzi, ne difendono la sua mediocre classe dirigente. Davanti allo specchio, Berizzi non ricorda uno di quei grandi intellettuali che subirono le violenze fasciste, ma, con i dovuti distinguo storici, un Alessandro Pavolini.

TAG: antifascismo, atlantismo, capitalismo, fascismo, giornalismo, giornalisti, La Repubblica, NAZIFASCISMO, Paolo Berizzi, sinistra
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